La traversata nel deserto di «Guido Tremonti»
«Vado a fare la manovra, quella vera». Giulio Tremonti abbandona il consiglio nazionale del Pdl sibilando ai giornalisti tutta la sua distanza rispetto al tripudio riservato al delfino Alfano. Certo non gli è sfuggito il «lapsus» di Berlusconi, che dal palco lo ha chiamato «Guido» (come Crosetto, il sottosegretario che nei giorni scorsi ha invocato lo psichiatra per il superministro dell’Economia, ndr).
L’acclamazione di un segretario del partito non basta certo a rasserenare il clima in una maggioranza unita solo dal voler sopravvivere il più a lungo possibile alla tempesta scatenata dall’addio di Fini e dalla crisi economica più feroce degli ultimi anni. La recita dei vari protagonisti è sempre più smaccata. Calderoli prima lima il decreto per Napoli nelle lunghe riunioni tecniche a porte chiuse e poi gli vota contro in consiglio dei ministri insieme a Bossi e Maroni. Lo stesso Maroni da un lato cerca di rinforzare il suo asse personale con il nuovo gestore del Pdl, dall’altro non manca di accarezzare la resa dei conti con quanti – nel «cerchio magico» attorno a Bossi – gli sbarrano la strada nel Carroccio.
Nel Pdl nulla è cambiato dopo l’investitura di Alfano. Anzi, al momento andrà trovato un nuovo ministro della Giustizia e non pare ci sia la fila. Tuttavia la fine delle «quote» tra ex Fi ed ex An apre uno scenario nuovo, dove ogni corrente territoriale o «ideale» (ormai se ne contano a decine) dovrà gioco forza aumentare la sua visibilità entrando in competizione con le altre senza sbocchi predefiniti. La richiesta di primarie da parte di Alemanno e altri in fondo significa questo. Il «predellino» è morto e inizia una fase politica nuova. In cui, non a caso, Alfano è costretto a strizzare l’occhio ai centristi e ai finiani delusi.
Tutto si muove ma molto resta dov’era. Mediaset vacilla in borsa. Ieri Citigroup ha tagliato il target price delle azioni a un ridicolo 2,7 euro. Il biscione sconta la crisi in Spagna e in Italia e l’acquisto di Endemol si è rivelato un bidone che rischia di trascinare a fondo il gruppo. In più, la penale a De Benedetti per il lodo Mondadori incombe. La crisi dell’impero berlusconiano è culturale e industriale prima ancora che politica.
Il Cavaliere però continua a pensare alla Rai e ad addormentarsi in consiglio dei ministri. Mentre Tremonti continua a rigovernare la stanza dei bottoni cercando disperatamente di far corrispondere un’autorità che certamente ha tra i poteri che contano (italiani e non solo) ma che è ancora priva di un fondamento politico tanto in un partito che in parlamento.
Lo storico «asse del Nord» tra Bossi e Berlusconi con Alfano dovrà riconfigurarsi. Quella del superministro, più di tutti, è una traversata nel deserto che è arrivata negli ultimi tempi a cercare una sponda non solo nel Pd ma anche dentro un giornale anti-berlusconiano come Repubblica. «Se l’opposizione ha delle idee sulla manovra le tiri fuori», butta lì il ministro nell’ultimo fine settimana dedicato a mettere veramente nero su bianco la sua finanziaria triennale. Un proposito che però cozza assai con la decisione di blindare il testo con il voto di fiducia.
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