La seconda vita delle comuni trent’anni dopo sono ecovillaggi

by Sergio Segio | 28 Luglio 2011 6:13

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GUBBIO – «Sono arrivato qui nel 1978, a Capodanno, con una ragazza di cui ero pazzamente innamorato. Volevamo festeggiare in modo alternativo, noi due soli in un casolare tra i boschi. Avevo 23 anni, lavoravo al Male, ero tendenzialmente depresso e speravo di cambiare il mondo. Questo pezzo di Umbria così selvatico e impervio, come il mio umore, mi aveva conquistato subito. Un anno dopo, era il 1979, nel “casolare” eravamo già  in 40, una comune spontanea e anarchica in cui c’erano intellettuali ed ex rapinatori, scrittori famosi e tossici che volevano disintossicarsi, insomma emarginati di ogni tipo più una decina di mucche e qualche capra… Naturalmente – racconta Jacopo Fo – la comune è fallita, la ragazza che amavo mi ha lasciato per un conte rigorosamente hippy, ma nell’estate del 1981 con altri 3 amici, tra cui un ex fascista diventato monaco induista abbiamo fondato Alcatraz».
Località  Santa Cristina, tra Perugia e Gubbio, direzione Casa del Diavolo. Entrando nel bosco l’aria si fa subito più fresca, ci sono querce, olmi, pioppi, mentre totem, menhir, animali fantastici e draghi dipinti annunciano l’arrivo nella “Libera Repubblica di Alcatraz”, strana, ironica e libertaria utopia ideata trent’anni fa da Jacopo Fo, disegnatore, scrittore, attore, regista, inventore dello yoga demenziale, blogger, nonché figlio di Dario Fo e Franca Rame. Tra le poche “comuni” degli anni Settanta sopravvissute fino ad oggi, Alcatraz, che festeggia in questi giorni tre decenni di vita è diventata nel tempo un polo all’avanguardia nella produzione di energia alternativa, della vita slow, del buon cibo, e un centro polivalente che offre corsi di teatro, scrittura, yoga, cucina, gioco, ma anche bioingegneria e bioedilizia. Intorno oltre 400 ettari di collina disseminata di sculture e macchine leonardesche, come l’orologio a vento costruito da Dario Fo insieme al murales sulla vita di San Francesco, tra case di pietra, bungalow, una torre medievale e 40 posti letto per chi vuole “espatriare” (e godersi la vita) per qualche giorno nel borgo di Alcatraz. Che oltre ad essere una “libera repubblica” è anche una “libera università “. «Non essendo riusciti a cambiare il mondo – dice Jacopo Fo, che oggi ha 55 anni, due figlie, un nipote e il graffio dell’ironia sempre in agguato – decidemmo di ritirarci in una sorta di “abbazia del possibile” dove sperimentare ogni forma di linguaggio artistico ed espressivo». Così all’inizio “l’università ” è soltanto uno scalcinato tendone da circo giallo e rosso, ma i docenti sono Dacia Maraini, Andrea Pazienza, Stefano Benni, Luca Ronconi e naturalmente Dario Fo.
Erano oltre mille le comuni che nel decennio del post ‘68 avevano colonizzato paesi e campagne svuotati dalle grandi emigrazioni del dopoguerra, gruppi di giovani innamorati dell’idea “peace and love” della vita collettiva, dell’essere autosufficienti coltivando il proprio campo e il proprio orto. Utopie in Italia poco raccontate e poco descritte, se non in rare pubblicazioni di editoria alternativa (“Comuni, comunità , ecovillaggi in Italia”, di Manuel Olivares, edizioni Malatempora), spesso implose per mancanza di prospettive, denaro, capacità  di vivere al di fuori degli schemi tradizionali, e confluite nella grande crisi del Movimento del ‘77. Famosa la Comune agricola di Ovada nell’appennino ligure-piemontese, dove si trasferirono centinaia di hippy da tutta Europa, nata e morta, anzi sgombrata dalla polizia nel giro di un anno, ma rimasta come simbolo dell’underground italiano. Alcune di quelle avventure, convertite alla filosofia bio, alla salvaguardia del mondo, o ad esperienze mistico-religiose, resistono oggi nella Rete Italiana degli Ecovillaggi, affratellata alla più vasta comunità  del “Global Ecovillage Network”.
La “Libera Repubblica di Alcatraz” è però una storia a parte. Non solo perché a trent’anni dalla nascita è ancora viva, si è lasciata alle spalle ogni idea collettivista: «Noi non siamo una comune, non siamo una setta, non abbiamo un guru, non conviviamo, ma cerchiamo di lavorare armoniosamente insieme», ma soprattutto perché nel territorio di Alcatraz sta per nascere un avveniristico “ecovillaggio solare”. Seduto al centro di una multietnica, allegra e informale tavolata di adulti e bambini ospiti dei corsi estivi di Alcatraz, con un menù gourmet ma rigorosamente bio («Noi produciamo olio e un po’ di ortaggi, il resto ce lo forniscono aziende certificate»), Jacopo Fo descrive il progetto – in collaborazione con Banca Etica – che si capisce amato e desiderato a lungo. «Saranno 60 appartamenti costruiti con le più avanzate tecniche di bioingegneria e bioedilizia, in legno o in pietra e del tutto autosufficienti sul fronte energetico. Ognuno con parco e frutteto privati, ma con spazi e servizi in comune, dalla lavanderia alla piscina, ad una sala per le feste. C’è sempre più gente che vuole andare via dalle città , per recuperare qualità  della vita e rapporti umani. E questa è proprio l’idea del villaggio-verde». La prima casa «eco» è già  pronta, è in legno e pietra e ci abitano, quando sempre più spesso si fermano ad Alcatraz, Dario Fo e Franca Rame, che oggi hanno 85 e 83 anni. I soffitti sono alti, gli spazi ampi, fresca d’estate, calda d’inverno. Dentro ci sono dipinti, ritratti, disegni, sculture, testimonianze di vite d’artisti. Fuori un giardino di lavanda, rosmarino e vetiver.

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