La pista islamica e quella interna

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L’unico arrestato è infatti un cittadino norvegese, come annunciato dal governo di Oslo. È lui che ha sparato e fatto strage di ragazzi alla convention giovanile laburista nell’isola Utoya. Il fatto lascia la porta aperta all’ipotesi che dietro l’atto terroristico ci sia la mano di gruppi di estrema destra, significativamente presenti e sostenuti da un pezzo della società  norvegese. Gruppi ostili al melting pot norvegese. Nessuno di loro, però, si è mai reso finora responsabile di atti di sangue.
L’altra ipotesi è la pista qaedista. E non sarebbe difficile capire perché gli attentatori hanno colpito Oslo, trasformandone strade e edifici in un drammatico fotogramma di Baghdad o Mumbai. Un colpo inatteso per molti norvegesi che, nel corso del tempo, avevano cancellato anche l’ormai sbiadito ricordo del tentato assassinio, nel 1993, dell’editore dei Versetti Satanici di Salman Rushdie, William Nygaard, caso riemerso solo recentemente. In realtà  la Norvegia, così come Danimarca e Svezia, è da tempo nel mirino qaedista. Il coinvolgimento militare in Afghanistan, al quale si è aggiunto recentemente quello in Libia, ha confermato agli occhi degli jihadisti il carattere “empio” del regno di Harald V.
Il fattore capace di scatenare la jihad pare vada rintracciato, più che nell’accusa di terrorismo rivolta da un procuratore al Mullah Krekar, il fondatore del gruppo curdo-iracheno Ansar al-Islam che ha reagito con minacce a una sua possibile espulsione, nelle dinamiche militari ed editoriali. Il kombinat vignette-guerra in Afganistan è da sempre un ingrediente micidiale della mobilitazione jihadista. In passato la polizia norvegese ha arrestato, su input americano, un uiguro in contatto con militanti di Al Qaeda in Pakistan. Oslo poi, è diventata un obiettivo di prima grandezza da quando un giornale locale ha riproposto le vignette su Maometto, pubblicate originariamente dal danese Posten: un’onta da lavare con il sangue del Nemico.
E’ presto per dire chi siano gli autori della strage. Cellule locali potrebbero avere avuto contatti con operativi di Al Qaeda in Medioriente o in Asia. Un’operazione che dimostrerebbe la rinnovata capacità  operativa del gruppo, duramente provato dal blitz di Abbotabad, e insieme il rilancio della linea del jihad globale a scapito di quella locale. In Norvegia sono presenti gruppi di immigrati che provengono dal Pakistan, dall’Iraq, dalla Somalia, aree di guerra o di conflitto a alto tasso ideologico islamista. Il rancore verso l’Occidente, potrebbe essere maturato, o anche solo innescato, nelle enclave etniche e religiose dell’ormai multietnica Oslo.
Se fosse confermata la natura qaedista dell’attacco, si tratterebbe comunque di un tentativo del fronte del jihad di riprendersi quella centralità  divelta dalle rivolte arabe, prima e dopo la morte di Bin Laden. Qualunque sia l’esito della “campagna di Oslo” è un tentativo destinato a fallire. Lo jihadismo può certo riprendersi drammaticamente la scena ma solo per brevi, anche se tragici, momenti. Il pallino è ormai in mano a altri. E ci resterà  a lungo.


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