La partita delle dighe in Etiopia
Secondo i piani del governo di Addis Abeba, dovrà produrre 5.250 megawatt di energia, il triplo di quanto previsto per Gibe III, mentre il costo si dovrebbe attestare sui 4,7 miliardi di dollari. L’esecutivo etiopico ha fatto sapere che sosterrà l’intera spesa delle infrastrutture (per questo ha lanciato un prestito obbligazionario internazionale di 3 miliardi di dollari), mentre la Cina ha assicurato che fornirà le turbine, per una spesa di 1,7 miliardi.
Il primo ministro Meles Zenawi parla di «sforzo collettivo del paese» per quella che, una volta ultimata, dovrebbe essere la più grande diga dell’Africa. Intanto crescono le polemiche con le autorità egiziane, con cui esiste un decennale contenzioso sulle acque del Nilo, che non a caso hanno già manifestato la loro avversione al progetto. Una ricerca condotta dall’esperto etiopico Mehari Beyene, e ripresa dalla ong americana International Rivers, mette in discussione l’opportunità economica del progetto stesso. Secondo Beyene se la diga fosse più bassa e di dimensioni ridotte si limiterebbero i costi e gli impatti socio-ambientali (che come sempre in questi casi sono notevoli), mentre sarebbero sensibili i miglioramenti in termini di efficienza. Il rischio è che con il progetto attuale il gioco non valga la candela, ovvero la produzione di energia elettrica finisca per essere troppo limitata in rapporto all’esorbitante spesa in programma – oltre due terzi del pil annuale del paese.
Sempre International Rivers denuncia poi che le voci di timido dissenso che si sono levate in Etiopia sono già state zittite dalle autorità locali. La giornalista Reeyot Alemu è stata incarcerata solo per aver posto delle domande sul progetto, una prassi ben conosciuta da organizzazioni come Human Rights Watch, che da tempo denunciano la repressione in atto. Alla presenza di rappresentanti di Banca mondiale e Sinohydro, in una conferenza tenutasi a inizio anno ad Addis Abeba il premier Zenawi ha bollato come «estremisti, criminali», gli attivisti che si oppongono alle dighe.
Tra questi deve annoverare anche l’Unesco, che in occasione del suo incontro annuale tenutosi lo scorso giugno, ha richiesto all’Etiopia di «sospendere immediatamente la costruzione della diga Gibe III» a causa dell’impatto che l’impianto idroelettrico avrà sul livello del Lago Turkana, in Kenya. Il lago Turkana è riconosciuto dall’agenzia Onu come Patrimonio Mondiale dell’Umanità . Il comitato, in collaborazione con la Iucn (Unione Mondiale per la Conservazione della Natura) invierà una missione di monitoraggio in loco alla fine del 2011 al fine di valutare la situazione.
La decisione dell’Unesco si è basata sui risultati di uno studio idrogeologico commissionato dalla Banca Africana di Sviluppo in seguito al ricorso presentato dall’associazione kenyota Friends of the Lake Turkana che conferma l’abbassamento del livello dell’acqua, l’interruzione delle piene stagionali e il drastico cambiamento delle caratteristiche chimiche e biologiche dell’acqua.
L’Unesco ha inoltre informato Etiopia e Kenya che se la costruzione della diga non verrà sospesa il Lago Turkana sarà iscritto nella lista dei Patrimoni dell’Umanità minacciati. In attesa di capire gli sviluppi su Millennium, almeno possiamo consolarci con la buona notizia che Gibe III non riceverà alcuno sostegno dalla nostra cooperazione, che invece in passato aveva garantito oltre 200 milioni di euro per il controverso progetto Gibe II.
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