La mappa dei diritti Gay nel mondo
Domenica mattina a Manhattan. Due donne escono festanti dall’ufficio comunale. Una delle due, Connie Kopolev, su una sedia a rotelle, tiene in mano un certificato, mostrandolo alla folla come se fosse un trofeo. Il braccio destro alzato in segno di vittoria.
Sono Phyllis Siegel, 77 anni, e Connie Kopolev, 85, insieme da 23 anni, la prima coppia a sposarsi nella città di New York, dopo che lo stato ha legalizzato i matrimoni tra persone dello stesso sesso.
Nella sola giornata del 24 luglio, 823 coppie hanno celebrato la propria unione, spesso ventennale. Come nel caso di Kitty Lambert e Cheryle Rudd, già nonne di 12 nipoti (il loro matrimonio è stato celebrato allo scoccare della mezzanotte di domenica alle cascate del Niagara, per l’occasione illuminate con i colori dell’arcobaleno).
New York è il sesto stato americano a riconoscere il matrimonio omosessuale (dopo Connecticut, Iowa, Maine, Massachusetts e Vermont). La decisione è arrivata il 24 giugno, con 33 voti a favore e 29 contro, ed è stata accolta come un evento storico. Più di 40 anni fa, proprio nella Grande Mela nacque il movimento di rivendicazione dei diritti glbt (acronimo di gay, lesbian, bisexual, transgender).
Il 28 giugno 1969, la comunità omosessuale si ribellò all’ennesima retata da parte della polizia in un locale gay del Village, lo Stonewall Inn, dando il là a 3 giorni di rivolte e alla nascita di numerose associazioni politiche (pare che tutto sia partito ad una giovane transessuale, Sylvia Rivera, la quale esasperata lanciò una bottiglia in testa ad un agente).
Ai festeggiamenti per i matrimoni, però, non sono mancate le proteste. Mentre centinaia di coppie si sposavano, nel centro di Manhattan, infatti, si è svolta una manifestazione con cartelli e slogan contro i matrimoni gay (“Dio odia i froci” oppure: “Oggi un uomo sposa un altro uomo, domani potrà sposare il suo cane”) e la richiesta di indire un referendum sulla questione.
L’approvazione dei matrimoni omosessuali nello stato di New York arriva dopo una lunga battaglia delle organizzazioni glbt che sono riuscite a coinvolgere anche le forze conservatrici del paese. La legge, infatti, è passata grazie al voto repubblicano, come nel caso del senatore Grisanti, il quale ha dichiarato: “Chiedo scusa a chi si sente offeso, ma non posso negare a una persona, a un essere umano, a un contribuente, a un lavoratore, alla gente del mio Stato, di avere gli stessi diritti che io ho con mia moglie”.
Se New York, metropoli multietnica, ha aperto i suoi uffici comunali per celebrare le nozze gay, una parte d’America continua a mostrarsi ostile nei confronti del “diverso”. Il 2010, infatti, si è chiuso con una serie di suicidi di adolescenti vittime di bullismo perché considerati gay. La risposta è arrivata con “It gets better” (www.itgetsbetter.org), campagna di sensibilizzazione a cui hanno aderito – oltre al presidente Obama – colossi informatici come Google e Apple.
Nel dicembre 2010, infine, è stata abrogata la cosiddetta legge “don’t ask don’t tell”, introdotta da Clinton nel 1993. Nella campagna elettorale per il suo primo mandato, Clinton si era impegnato ad aprire l’esercito alla comunità glbt, ma in seguito ad una dura opposizione, anche da parte democratica, l’esecutivo aveva trovato una sorta di compromesso: gli omosessuali potevano servire l’esercito fin quando la loro sessualità rimaneva nascosta (da qui “don’t ask don’t tell”, cioè: non chiedere e non dire).
Nel mondo – Mentre sempre più paesi riconoscono le unioni omosessuali (soprattutto quelli sudamericani come Brasile, Messico e Argentina), in Africa (con eccezione del Sudafrica dove i matrimoni omosessuali sono legalizzati da anni) e in quasi tutte le nazioni arabe, l’omosessualità è considerata un crimine, spesso perseguibile con la pena di morte.
In seguito alle pressioni internazionali, in aprile il governo ugandese ha sospeso la legge che prevedeva la pena di morte per gli omosessuali, tramutandola in carcere a vita (ma a quanto riportano le associazioni glbt, nel paese africano il semplice fatto di essere apostrofati come “frocio” o “lesbica” per strada è sufficiente a garantire la morte per pestaggio). Sotto la spinta dei movimenti islamici, anche il governo del Kenia pare abbia intenzione di inasprire le condanne nei confronti delle persone omosessuali.
Da questo punto di vista è abbastanza singolare la posizione dell’Iran. Nella teocrazia figlia della rivoluzione di Khomeini, l’omosessualità (sia maschile che femminile) è punita con il carcere, con le frustrate e in alcuni casi con la pena di morte, mentre la transessualità è del tutto legale. Anzi, l’Iran è il secondo paese al mondo, dopo la Thailandia, in cui si effettuano più operazioni per cambio di sesso. Per giunta lo stato finanzia metà dei costi e garantisce la riassegnazione del sesso sul certificato di nascita.
La leggenda vuole che per 12 anni (dal 1975 al 1987) la transessuale Maryam Khatoon Molkara abbia inviato lettere all’Ayatollah Khomeini per ottenere la benedizione sul cambio di sesso. Una volta tornato dall’esilio, nel 1979 il leader della rivoluzione decise di dare udienza a Maryam. Dopo l’incontro, Khomeini emise una fatwa (una sentenza) in cui benediva la riassegnazione del sesso attraverso l’operazione chirurgica. Nel 1997, Maryam si operò e divenne donna.
Da questo punto di vista, invece, l‘Europa è divisa in due blocchi. Da una parte, quella occidentale, con i paesi scandinavi, i primi ad aver legalizzato le unioni di fatto, ed i primi ad aver accolto la decisione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (1992) di eliminare l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali e di considerarla “una variante naturale del comportamento umano”.
Dall’altra, l’ex blocco sovietico. La Russia, per esempio, è maglia nera per i diritti glbt. Per il sesto anno consecutivo, le autorità moscovite hanno negato il permesso allo svolgimento del gay pride (la parata in ricordo delle rivolte di Stonewall). Nonostante il divieto, gli attivisti glbt hanno manifestato nella piazza Rossa e il tutto si è trasformato in duri scontri con i fondamentalisti ultraortodossi prima e la polizia dopo, che ha arrestato più di 40 persone.
Intanto, il 17 giugno il Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU ha approvato una risoluzione contro le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale. La proposta, avanzata in un primo momento dal Sudafrica, è passata con 23 voti a favore, 19 contrari e tre astenuti.
Tra i maggiori sostenitori, gli Stati Uniti e i paesi dell’America del Sud, mentre tra i paesi che hanno votato contro, la Russia e l’Uganda. Il documento impegna le Nazioni Unite a preparare un rapporto dettagliato sui problemi e le sfide che lesbiche, gay, bisessuali e transgender devono affrontare per veder riconosciuti i loro diritti e quali soluzioni potranno essere adottate per la parità .
Forse si tratta di un gesto simbolico, e per qualcuno destinato a “difendere” solo i diritti di una minoranza, ma se si osserva la cartina pubblicata dall’Ilga (International Lesbian & Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association, associazione per i diritti glbt riconosciuta dall’ONU), i paesi dove l’omosessualità viene repressa con più veemenza (Iran, Russia, Sudan, per citarne alcuni) sono gli stessi paesi che negano diritti fondamentali, come la libertà di stampa, di espressione, a tutte le persone, a prescindere dall’orientamento sessuale o di genere.
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