La manovra iniqua

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Secondo le bozze che circolano, viene previsto un nuovo, pesante, intervento sulla scuola, che di fatto ridurrà  ulteriormente non solo i posti di lavoro (per lo più femminili) ma anche l’offerta di tempo e qualità  scolastica. Verrà  ulteriormente ridotto il tempo pieno scolastico nelle scuole elementari, mai diventato la norma nonostante tutte le dichiarazioni a favore della occupazione femminile e nonostante oggi la maggior parte delle mamme con bambini in età  scolare sia occupata. Un numero crescente di famiglie dovrà  affidarsi alla propria creatività  e risorse private per tenere assieme occupazione dei genitori, soprattutto della madre, e bisogni di cura e supervisione dei figli, aumentando le disuguaglianze tra famiglie, donne, ma anche bambini. La riduzione del turnover di fatto provocherà  anche una ulteriore compressione del tempo che ogni insegnante (i cui stipendi tutt’altro che elevati nel frattempo vengono bloccati fino al 2014) avrà  sia per dedicarsi individualmente agli allievi sia per formarsi e aggiornarsi adeguatamente. Ciò avviene proprio in un periodo in cui la crescente diversificazione della popolazione scolastica richiederebbe maggiore attenzione individualizzata e maggiori competenze non solo nelle discipline di insegnamento.
Ha ragione Napolitano a dire che una manovra fiscale è necessaria per tentare di mettere i conti in ordine ed evitare il rischio Grecia. E nessuno potrà  essere del tutto esentato da pagarne parte del prezzo. Ma, al di là  del merito sulle singole misure su cui pure ci sarebbe da discutere, c’è qualche cosa di insopportabilmente ingiusto nell’utilizzare il criterio del tempo per colpire subito coloro che sono ritenuti socialmente più deboli e meno legittimati a fare valere i propri interessi – gli insegnanti, le donne lavoratrici, i bambini – rimandando a un futuro al di fuori della propria responsabilità  l’intervento sugli interessi dei soggetti forti. È inoltre anche fortemente miope: non investire nella scuola, delegittimare e squalificare gli insegnanti – lo sport preferito di questo governo e della sua ministra dell’istruzione – significa non investire nella generazione più giovane, indebolirne in partenza i diritti e qualità  di cittadini. Analogamente, continuare ad agire come se le donne potessero farsi carico di tutto – della cura ma anche del lavoro remunerato – pagandone anche i costi sul piano del tempo e della progressione nel reddito e nel lavoro, significa sacrificare le potenzialità  di metà  della popolazione. Ciò può andare bene a una classe dirigente maschile molto anziana e legata ai propri privilegi monopolistici. Ma è uno spreco che una società  in affanno come la nostra non dovrebbe potersi permettere.


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