La guerra dei vent’anni tra mediazioni e tradimenti

by Sergio Segio | 10 Luglio 2011 7:44

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Ventidue anni di battaglie, sentenze e colpi di scena. Tanto è durata la cosiddetta “Guerra di Segrate” che ha visto i due tycoon dei media italiani, Carlo De Benedetti e Silvio Berlusconi, contendersi il controllo della Mondadori. La sentenza della Corte di Appello di ieri scrive una parola definitiva alla vicenda con un risarcimento a favore della Cir di 560 milioni, per compensare il danno subito per una sentenza comprata con i soldi della Fininvest e per conto di Berlusconi.
Ma ci sono voluti più di vent’anni per ribaltare gli effetti di quella sentenza del gennaio 1991, che a sua volta annullava il risultato del Lodo Mondadori di soli sei mesi prima. E chi ha vissuto quei momenti così intensi oggi li ricorda con un pizzico di nostalgia. Il passaggio cruciale avviene nel dicembre 1989 e viene dipinto dai giornali dell’epoca nella cornice del Castello Sforzesco di Milano, va in scena la prima visita in Italia di Michail Gorbaciov a un mese dal crollo del Muro di Berlino. I presenti descrivono un Carlo De Benedetti scuro in volto e un Silvio Berlusconi raggiante. Che cos’era successo di tanto eclatante? Luca Formenton e la madre Cristina Mondadori erano appena saltati sul carro del fondatore di Canale 5, con il loro pacchetto di azioni Amef decisivo per il controllo della casa editrice di Segrate. Lasciando De Benedetti solo con il suo contratto firmato un anno prima e con il quale si impegnavano a vendere le stesse azioni alla Cir. Un salto della barricata frutto di una decisione sicuramente «difficile e sofferta», come hanno ricordato i protagonisti dell’epoca due anni fa quando contestarono questa ricostruzione dei fatti definita «offensiva e odiosamente sprezzante», ma che resta decisiva poiché permise a Berlusconi di diventare primo azionista di Segrate e da quel pulpito far partire l’offensiva che lo portò a trattare da posizioni di forza la spartizione successiva.

Il cambio di cavallo dei Formenton è ancora più inspiegabile se si considera che De Benedetti era entrato nella Mondadori chiamato da Mario, marito di Cristina Mondadori e padre di Luca, quando la casa editrice entrò in fibrillazione per l’avventura rivelatasi disastrosa di Retequattro nel settore televisivo. Nel 1984 Formenton insieme a De Benedetti mette a punto un piano che prevede la vendita di Retequattro a Berlusconi che aveva già  Canale 5 e Italia 1, l’arrivo al vertice di Segrate di un manager promettente come Franco Tatò e un aumento di capitale da 60 miliardi di lire. Una manovra necessaria per mettere in sicurezza una casa editrice che quell’anno chiudeva i conti con 940 miliardi di lire di ricavi, 400 miliardi di debiti e 240 miliardi di perdite. Solo l’avventura tv aveva provocato un buco da 150 miliardi e occorreva correre ai ripari. Quando nel 1985 si conclude l’aumento di capitale con la nascita della Amef, la holding che prende sotto di sé il 51% della Mondadori, Leonardo Mondadori propone l’ingresso di Berlusconi nell’azionariato ma Formenton impone che abbia una quota pari alla metà  di quella riservata all’Ingegnere. La scomparsa di Mario Formenton nel 1987 complica le cose, i rapporti interni alla famiglia che fino a quel momento ha retto le sorti dell’azienda si inaspriscono. La prima svolta arriva nell’aprile 1988 quando un’assemblea infuocata sancisce una nuova maggioranza a Segrate frutto dell’alleanza De Benedetti-eredi Formenton che estromette dal consiglio di aministrazione Laura e Leonardo Mondadori e i loro alleati, tra cui Berlusconi. Il passaggio viene descritto così da Luca Formenton, allora 34 enne, in un’intervista al Sole 24 Ore: «Per quanto riguarda l’alleanza con De Benedetti posso dire che mio nonno ne sarebbe contento: per Arnoldo la famiglia era l’azienda. E sia Arnoldo che mio padre hanno trasferito lo spirito della famiglia nello stile aziendale. Oggi noi pensiamo di aver posto le basi per lo sviluppo di un gruppo che ha più settemila dipendenti e oltre mille miliardi di fatturato». L’alleanza strategica viene formalizzata poco dopo da un accordo scritto in cui i Formenton si impegnano a vendere alla Cir le loro azioni Amef entro il 31 gennaio 1991. È questo l’atto intorno a cui ruoterà  tutta la vicenda legale e giudiziaria della Mondadori. Ed è a questo punto che Berlusconi imprime un colpo d’acceleratore alla sua strategia di contrasto a De Benedetti, condotta senza esclusione di colpi. E in quel dicembre 1989, al Castello Sforzesco, i suoi sforzi sembrano avere successo. I Formenton non hanno saputo resistere al suo corteggiamento e alle pressioni del cugino Leonardo che già  si era imbarcato da quella parte, pur sapendo di tradire l’orientamento preso pochi anni prima da Mario. Così a gennaio 1990 Berlusconi può diventare presidente della Mondadori, sbarca con il suo elicottero nel giardino del palazzo di Segrate, in quel momento è il padrone di un impero editoriale immenso che controlla tre reti tv, Repubblica, Il Giornale, Panorama, l’Espresso, Epoca e 15 quotidiani locali. L’autorità  antitrust non è ancora nata e De Benedetti si affida a un arbitrato per far valere le sue ragioni. Il “Lodo Mondadori” del giugno 1990 ad opera di un collegio composto da Carlo Maria Pratis, Pietro Rescigno e Natalino Irti dà  pienamente ragione alla Cir. Ma il giudizio verrà  ribaltato sei mesi dopo, nel gennaio 1991, ed è quello incriminato. Con il ritorno in sella di Berlusconi la situazione diventa però insostenibile, anche politicamente. A Roma Giulio Andreotti è preoccupato del rafforzamento di Bettino Craxi in virtù del suo stretto legame con il Cavaliere: bisogna trattare e arrivare a un accordo. L’uomo della mediazione è Giuseppe Ciarrapico ma le delegazioni al tavolo della negoziazione sono guidate dall’avvocato Vittorio Dotti per la parte Berlusconi e da Arnaldo Borghesi, ai tempi direttore generale della Cofide. L’intesa viene trovata nel maggio 1991 e prevede la separazione tra la Mondadori, che va a finire sotto l’ombrello di Berlusconi, e L’Editoriale Espresso che torna nell’orbita di De Benedetti. La battaglia societaria e borsistica è finita ma qualche anno dopo inizierà  quella nelle aule dei tribunali culminata nella sentenza di ieri.

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