La guerra commerciale tra Belgrado e Pristina

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Nell’ultima settimana le pallide relazioni tra Belgrado e Pristina, mediate da Eulex, sono precipitate. A scoccare la scintilla, stavolta, è la guerra commerciale che si sono dichiarate le due capitali. Belgrado ha boicottato le merci “made in Kosovo”, non avendo mai riconosciuto l’indipendenza – dichiarata unilateralmente il 17 febbraio del 2008 – e l’autorità  di Pristina.

Il governo kosovaro, guidato dal discusso premier Hashim Thaà§i, ha preso subito le contromisure vietando l’ingresso di merci serbe attraverso i valichi doganali di Jarinje e Brnjak. Chi conosce bene i serbi di Mitrovica, Zvečan, Leposavić, sa benissimo che non accetterebbero mai di mangiare cibo albanese o di bere una rakija albanese così come non sopportano il controllo della polizia (Kps) di etnia albanese. I primi incidenti si sono registrati proprio quando Pristina ha deciso di inviare poliziotti di etnia albanese ai posti di controllo per applicare l’embargo nei confronti di Belgrado. Thaà§i non si fidava dell’operato dei poliziotti di etnia serba e meno ancora degli ufficiali Eulex che presidiavano la linea amministrativa sul confine serbo.
Colpi di arma da fuoco, granate, un poliziotto ucciso e altri quattro feriti, di cui uno in gravi condizioni. Non è servito a niente l’intervento della Kfor che ha anche provveduto alla chiusura del ponte Ibar (così come avvenne nel 2004, dopo il pogrom del 17 marzo, e il 17 febbraio del 2008, a seguito della dichiarazione unilaterale d’indipendenza).

Tra mercoledì e giovedì – nonostante il ritiro dei poliziotti kosovaro-albanesi – i serbi a nord del fiume sono tornati all’attacco devastando il posto di controllo a Jarinje, distruggendo con le ruspe e incendiando i prefabbricati doganali. Il piccolo contingente polacco della Kfor ha dovuto abbandonare l’area per evitare contatti e un inevitabile escaltion di violenza dopo i primi tafferugli con i serbi.

Il premier Hashim Thaà§i, durante la conferenza stampa nella tarda serata di mercoledì ha puntato il dito contro “le strutture parallele serbe” foraggiate dalle istituzioni di Belgrado e ha mantenuto fermo il punto: fin quando non ci sarà  reciprocità  commerciale, nessun prodotto serbo attraverserà  il confine (che al momento è aperto solo al transito di veicoli per passeggeri).

Belgrado, attraverso le parole del presidente Boris Tadic, ha condannato le violenze: “non è in questo modo che si aiutano i serbi e la Serbia”, la soluzione per i serbi del Kosovo va ricercata con altri mezzi. La diplomazia, però, non ha raccolto finora molti risultati e i moniti di Catherine Ashton – responsabile della politica estera Ue – non sono efficaci. Nella giornata di oggi si riunisce anche il Consiglio di sicurezza dell’Onu per una seduta straordinaria richiesta proprio dal Belgrado.

L’obiettivo è quello di evitare un ritorno a un passato pericoloso che ha lasciato in eredità  più di un conto aperto.


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