La Germania incorona Putin «Lavora per il bene comune»

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BERLINO — Quando il 3 ottobre, festa dell’unificazione tedesca, il leader russo Vladimir Putin riceverà  la Quadriga, il prestigioso premio che l’associazione Werkstatt Deutschland ha assegnato negli anni scorsi a personalità  che hanno lavorato per «il bene comune» (come Vaclav Havel, Mikhail Gorbaciov e Shimon Peres) non si dovrà  preoccupare di rivolgere dalla parte giusta la copia della scultura che sovrasta la porta di Brandeburgo: per anni e anni chi vedeva i cavalli di fronte sapeva di essere a Est, chi li vedeva di coda era a Ovest. Certo, c’erano ben altri modi di accorgersi delle differenze tra i due mondi, ma questa è una vecchia storia che amano raccontare i berlinesi. Oggi è la Germania unita (soprattutto quella dell’economia e degli affari) che guarda molto ad Est, soprattutto in direzione del Cremlino.
 Troppo, dicono in molti. Il premio a Putin sembra essere uno dei segnali di questo persistente strabismo tedesco e come tale è stato interpretato, per esempio, dalla Suddeutsche Zeitung che si è chiesta se il primo ministro russo, un personaggio che della democrazia ha una concezione per così dire non del tutto ortodossa, possa essere effettivamente ritenuto «un esemplare uomo di Stato» . Non è un caso che il co-presidente dei Verdi, Cem à–zdemir, membro della giuria che ha paragonato il successore di Boris Eltsin a Pietro il Grande, abbia voluto dissociarsi da questa scelta e abbia fatto sapere di avere espresso il proprio netto dissenso. E pochi mesi dopo la cerimonia di consegna della Quadriga, come osserva sul New York Times John Vinocur, in Germania dovrebbe partire nel 2012 l’Anno della Russia, nonostante la delicata concomitanza con le poco limpide elezioni presidenziali che si svolgeranno in marzo. Elezioni in cui l’uomo forte di Mosca è destinato a recitare ancora una volta, in un modo o nell’altro, la parte principale.
Nessuno ha ricordato fino ad ora, tra l’altro, che mentre il Muro di Berlino cadeva Putin era occupato notte e giorno, come lui stesso ha raccontato in un’intervista, a bruciare documenti compromettenti nella sede del Kgb a Dresda, di cui era il «numero due» . Questo delicato rapporto tra Berlino e Mosca è stato spesso in qualche modo illustrato con il volto dell’ex cancelliere socialdemocratico Gerhard Schrà¶der, che pochi mesi dopo aver lasciato l’incarico fu nominato dai boiardi della Gazprom, la più grande compagna russa dell’energia, alla guida del consorzio Nord Stream Ag e quindi del grande gasdotto che attraversa il Baltico.
Secondo il filosofo francese André Glucksmann, un feroce critico (forse troppo feroce) di queste relazioni pericolose, oltre alla «cupidigia» di Schrà¶der, «l’austera Angela Merkel non ha voluto, o potuto, contrastare l’intesa sempre più stretta tra le due capitali» . «Un forte partito degli industriali tedeschi — scrive Glucksmann — ha gli occhi puntati sul lucroso Far East che promette una gigantesca modernizzazione da Kalinigrad a Vladivostok. Così si acuiscono le arroganze e i fantasmi di un nuovo patto neocoloniale» .
Schrà¶der, la Merkel (cui va dato atto, comunque, di avere portato avanti un rapporto equilibrato con la Polonia, nonostante Mosca), gli industriali. Ma le lobby o i fori di dialogo attraversano tutti i partiti e i settori della politica tedesca, come dimostra il «Dialogo di San Pietroburgo» presieduto dal cristiano democratico Lothar de Maizière, ultimo primo ministro della Repubblica democratica, cugino dell’attuale ministro della Difesa Thomas de Maizière. Ma il caso Russia si inquadra in un indiscutibile cambiamento di alcuni orientamenti della politica estera tedesca, come ha dimostrato il voto di astensione (al fianco di Mosca e Pechino) sulla risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che autorizzava le operazioni militari in Libia. E non va dimenticata, tra le altre cose, la nuova attenzione (di cui ha parlato il presidente Christian Wulff in un’intervista a questo giornale) verso i Paesi emergenti «per renderli partecipi della configurazione di un futuro ordinamento mondiale» .
 In tutto questo si inserisce, poi, il problema dei problemi (come insegna il caso greco): l’Europa. Oggi, scrive Philip Stephens sul Financial Times, «Berlino separa il suo interesse nazionale dall’interesse europeo» . È con questa nuova realtà , più in generale, che i partner della Germania dovranno fare i conti.


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