by Sergio Segio | 1 Luglio 2011 6:24
Partiamo dal voto. Quello in fabbrica. Giusto un anno fa gli operai di Pomigliano, lo stabilimento dal quale è partito il nuovo corso delle relazioni industriali tra la Fiat e il sindacato, hanno votato sì (con il 62,2%) ai piani di investimento del Lingotto. Solo partendo da quello scrutinio, finito alle quattro del mattino, si può capire che cosa è accaduto nella concertazione ritrovata tra la Confindustria di Emma Marcegaglia e la Cgil di Susanna Camusso. Quel voto in qualche modo ha portato all’attuazione dell’articolo 39 della Costituzione sulla rappresentanza.
Un’attuazione che arriva dopo ben 63 anni. «Epocale» , l’ha definita ieri il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Fin qui i passaggi facili. Ma lo scambio di lettere avvenuto ieri tra il presidente degli industriali e l’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne, fa capire che di strada ne va ancora percorsa un po’ se si vogliono raggiungere gli obiettivi dell’intesa: aumentare la competitività delle imprese e restituire un clima di relazioni industriali che consenta di ritrovare gli equilibri tra le parti più nelle fabbriche che nelle aule di tribunale.
L’intesa stabilisce che un contratto aziendale firmato dalla maggioranza è valido per tutti (erga omnes), i contenuti sono efficaci e vincolano tutti i sindacati. Diventano «esigibili» e nessuno può contestarli, uno schema che riprende le regole che funzionano già nel pubblico impiego. Come dire: la volontà degli operai di Pomigliano, e poi quelli di Mirafiori e Grugliasco deve valere per tutti. Ma ecco il passaggio delicato, la firma raggiunta anche dalla Camusso non vale per il passato. Non è retroattiva, ma vale solo a partire da martedì scorso.
Che cosa accadrà negli stabilimenti Fiat? Certo l’intesa non poteva rappresentare una soluzione ad hoc per Torino e per gli investimenti già avviati di Fabbrica Italia. Ma se si guarda bene ci sono ancora alcuni margini di tempo di qui al gennaio 2012. Periodo nel quale la scelta coraggiosa del leader Cgil di ricomporre la frattura del 2009 si misurerà naturalmente con l’opposizione della Fiom, che ha già ribadito l’intenzione di proseguire sulla strada della contestazione in sede di trattativa e in sede giudiziaria. Come dire: ci sarà un momento nel quale sarà necessario fare chiarezza sulle relazioni tra la Federazione dei metalmeccanici e la Cgil. Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini ha chiesto già la sospensione della firma. Passaggio significativo nelle liturgie sindacali.
C’è poi la questione della legge. Per loro natura le parti sociali, a cominciare dalla Cisl di Raffaele Bonanni, tendono a considerare più forte l’accordo della stessa norma di legge. Non tanto per un fastidio verso il legislatore quanto per una consuetudine che ha consentito di far fare molti passi avanti al sistema industriale di questo Paese. Il governo ha fatto sapere di valutare la possibilità di intervenire con una norma. Ma adesso serve uno sforzo aggiuntivo perché se è vero che rispetto alla Germania abbiamo perso 30 punti percentuali di competitività , qualcosa va fatto. In tempi brevi. Ma a questo punto non ci sono molte strade per evitarla, che in qualche modo la Fiom prenda in considerazione la possibilità di rientrare. Oppure la Fiat potrebbe ricontrattare le intese sulla base delle nuove norme.
Da questo punto di vista la scelta coraggiosa della Camusso di firmare è stata decisiva. Ma ora, anche con l’eventuale legge, tutto si gioca s u un a l t r o pa s s o a v a n t i : l a «retroattività » , cioè la risposta al voto di Pomigliano dell’anno scorso. Si ha la sensazione che manchi l’ultimo metro da percorrere. Il più difficile.
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