Licenziata perché in stato vegetativo

by Sergio Segio | 14 Luglio 2011 6:59

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Ci sono le beffe della vita per cui si può essere insieme vivi ma anche morti: stato vegetativo si chiama la condizione perché il corpo mantiene le sue funzioni mentre lo spirito è perduto da qualche parte, silente e assente, introvabile e irrecuperabile. E poi, come se non bastasse, ci sono le beffe degli uomini, spesso altrettanto crudeli, accanite, senza cuore. Alla giovane donna di Bergamo, madre di quattro figli e da sedici anni occupata come operaia nella medesima ditta, sono toccate entrambe: quella assegnatale a sorpresa dalla vita e quella aggiunta in sovrappiù dagli uomini.
Da un anno in coma, del quale ovviamente non si sa se sia reversibile o meno e che, comunque, non ha impedito la nascita, a quattro mesi dall’inizio della crisi, del quarto figlio perfettamente sano, la donna è stata licenziata — ecco la beffa aggiuntiva — per l’eccessivo prolungarsi dell’assenza. E l’ineffabile motivazione— «la discontinuità  della prestazione lavorativa crea evidenti intralci all’attività  produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al suo regolare funzionamento, incidendo in modo sensibile sull’equilibrio dei rispettivi obblighi contrattuali» — dà  il resto.
 Per il bene di tutti le aziende devono difendersi e sopravvivere, è ovvio, e si sa che in tempi di crisi inevitabilmente gli spazi di attenzione al fattore umano si riducono. Ma considerando che i costi della malattia ricadono quasi per intero sull’istituto di previdenza e non sul datore di lavoro, è particolarmente sgradevole nella sua inutilità  quel licenziamento di una dipendente di lungo corso, proprio quando si è venuta a trovare in una condizione di assoluta, totale fragilità . C’era forse da dare un esempio? C’era bisogno di un monito affinché a nessun altro operaio o impiegato in futuro passi per la testa di ammalarsi in quello stesso modo misterioso e inguaribile? La famiglia della sfortunata donna ha fatto causa e andrà  come andrà .
 Probabile è, però, che l’aver fatto la faccia feroce costerà  all’azienda — per lo meno in immagine— assai più di quanto le sarebbe costato mantenere — umanamente e, sì, generosamente — la sua operaia in ruolo.

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