Intelligenze critiche: caro Fofi, non è solo elemosina di Stato

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La situazione è dunque la seguente: la rivista Lo Straniero sostiene l’occupazione, ma sembra che il suo direttore abbia cambiato idea, confermando purtroppo l’estraneità  di una parte degli intellettuali italiani rispetto ai problemi del lavoro della conoscenza. Gli intermittenti del Valle, come altrove i precari della ricerca, i freelance del giornalismo o quelli dell’editoria, i lavoratori autonomi che rivendicano l’equità  nella tassazione e nuovi diritti sociali come il sostegno al reddito o il diritto alla maternità , non solo rifiutano l’assistenzialismo statale, e la retorica avvelenata e minoritaria contro la «casta», ma esprimono la necessità  di rinegoziare l’accesso ad una cittadinanza che non dipenda più dall’appartenenza ad una categoria professionale, dal censo e tanto meno dal diritto di nascita. Se lo vorrà , Fofi potrà  apprezzare queste posizioni nella conferenza stampa che si terrà  oggi a mezzogiorno al Valle.
Gli occupanti presenteranno la loro proposta di gestione del teatro e un’idea di quel «bene comune» che è la cultura, insieme alla formazione, all’acqua o all’energia. Insistere, come invece fa lui, sulla retorica della «classe creativa» non permette di cogliere la trasformazione imposta dalle politiche di contenimento della spesa sociale volute dal cecchino Tremonti che da tre anni si esercita nel poligono di tiro dei tagli alla cultura, alla formazione e allo spettacolo. Tra chi crea relazioni, eroga servizi, produce contenuti o espressione, cioè i lavoratori della conoscenza, non c’è più solo chi si percepisce come «creativo», ma soprattutto chi vuole vigilare sulla trasparenza dei meccanismi di accesso alla professione, sui diritti sociali e il reddito di cittadinanza; parla di una riforma complessiva del Welfare a partire dagli individui, e non dalle categorie professionali o dalla famiglia; ripensa i criteri di erogazione dei fondi pubblici per garantire l’autonomia della vita e la libertà  di espressione di tutti. Tra il pubblico e il privato, la scuola, l’università  e il mondo delle professioni sta circolando da tempo una sensibilità  che non denuncia solo la gerontocrazia, la corruzione e, in alcuni casi, persino la prostituzione.
Ciò che è davvero interessante è la critica dell’ideologia del «professionalismo», autentico prodotto degli anni Ottanta e del berlusconismo, che si è saldata con il corporativismo e l’individualismo competitivo. Non è detto che questa critica abbia ancora la forza per esprimersi in termini inequivocabili. Almeno nelle loro fasi iniziali, questi movimenti rischiano di sovrapporre il desiderio di emancipazione con la difesa degli interessi costituiti. Talvolta il risultato è quello di aumentare la confusione, producendo nuove rotture, com’è successo agli intermittenti del Valle dopo l’irruzione sul tappeto rosso della Festa del Cinema. Oggi questa situazione sembra ripetersi nel mondo dell’arte contemporanea che si è mobilitato per difendere il Macro di Roma, ma non è detto che non possa cambiare. Questa dialettica esiste nel movimento universitario che, tra il 2008 e il 2010, ha reagito per primo, e in maniera a tratti veemente, contro la guerra all’intelligenza in corso.
Gli studenti hanno osservato che l’impegno dei ricercatori a favore di una riforma più giusta dell’università  era limitato da una mentalità  «umanistica» che li ha portati a considerarsi parte di una corporazione che ha invece barattato il loro futuro per garantire i privilegi dei professori e dei rettori che gestiscono l’università  come una proprietà  privata. Corporativismo contro «questione sociale», difesa delle rendite di posizione contro rivendicazione di un nuovo modello di cittadinanza sociale, questo è il senso della battaglia in corso. Volendo essere più generosi, e meno paternalistici, possiamo dire che l’occupazione del teatro Valle ha riscoperto la funzione critica, e quindi progressiva, del lavoro intellettuale ridotto oggi a bracciantato cognitivo. Solo con la permanente consultazione fatta di assemblee, di alleanze trasversali, di azioni dirette per recuperare una dimensione collettiva della cultura e della politica, tutto questo nel rispetto delle singole competenze che troverebbero nello scambio la crescita del livello medio di ciascuno, usciremo dallo spirito oratorio, per mescolarci attivamente nella vita politica.


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