Indovina chi salva Tedesco

by Sergio Segio | 21 Luglio 2011 7:45

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 ROMA.«Chiedo un sì trasparente, dobbiamo farci carico di non adombrare neanche il dubbio di uno scambio con quello che succede alla Camera: sarebbe intollerabile. Pur sapendo che rinunciamo a un pezzo del nostro diritto». Il Pdl mugugna, sghignazza, rumoreggia. Da quella parte dell’emiciclo di Palazzo Madama chi l’ha mai sentito un imputato (e che ce n’è parecchi) chiedere di votare «unanimemente» sì al suo arresto? In confronto all’atterrito Alfonso Papa che in quegli stessi minuti alla Camera prega scongiura e suda, Alberto Tedesco sembra – a crederci – un gigante. Quando dice che si sacrifica «perché bisogna farsi carico di un paese che non si fida più delle istituzioni», pur proclamandosi innocente e di più «che non hanno rilevanza penale» i fatti che i pm pugliesi chiamano corruzione. E quando conclude il suo intervento («con sobria dignità » intonerà  poi la capogruppo Pd Anna Finocchiaro, che si arrampica a stringergli la mano) citando l’incolpevole Pietro Nenni , «si faccia ciò che si deve, accada quel che può». Perché il senatore, lo ha ricordato Massimo D’Alema gli scorsi giorni, è leader di un movimentino socialista pugliese, una cosetta da 70mila vota a cui neanche la giunta Vendola aveva potuto negare un posto in giunta – e che posto, assessore alla sanità  -. «C’è sempre uno più puro che ti epura», gli risponde a tono Gaetano Quagliariello, capogruppo Pdl. «Ma se vuole tanto farsi processare perché non si dimette?». Senti chi parla,ma la domanda ci sta tutta: perché non si dimette? Anche Pier Luigi Bersani, a sera dirà : «Vedremo le sue riflessioni».

In aula Tedesco sembra un padre della patria, niente a che vedere con quel signore per il quale il dalemiano De Castro è volato nell’europarlamento, pur di fargli spazio a Palazzo Madama fra le file degli inarrestabili, nel senso di non-arrestabili. Mette in fila il meglio del politicamente corretto: si sacrifica per non dare pretesti all’antipolitica, salva il partito autosospendendosi, protegge persino «l’alto dirigente del Pd» che secondo la stampa lo ha convinto al bel gesto (D’Alema) «non lo sento da sei mesi». Invoca l’inizio del processo, rinuncia alla prescrizione.
Sarà  che, dicono le malelingue della minoranza, Tedesco sa di avere la salvezza in tasca. E che la Lega una volta incassata la testa di Papa alla Camera, al Senato si riallineerà  al Pdl. In mezzo ai due voti ci sono pochi minuti: il vicecapogruppo Nicola Latorre (pugliese come Tedesco) ha ottenuto dalla capigruppo la perfetta coincidenza fra i dibattiti delle due camere, «risalterà  meglio la differenza del nostro atteggiamento dal loro», è la motivazione ufficiale.
Così la discussione al Senato, pur vivace fino all’insulto, è una melina di centrocampo. L’ex senatore Pera pianta una grana procedurale contro la giunta che non è riuscita a fare un parere. Riesce solo a far dire al presidente della giunta Follini che il Pd sul caso Tedesco è stato spaccato fino all’ultimo. I legulei Pd sfogliano tomi. I garantisti Pdl giurano che vorrebbero vedere alla sbarra anche Nichi Vendola, che dall’inchiesta sulla sanità  in Puglia è stato stralciato e archiviato. Il presidente dell’aula Schifani dirige il traffico: ma è chiaro che il Pdl perde tempo. Alle 18 e 15 la Lega annuncia che voterà  sì all’arresto. Per farlo, il leghista Mazzatorta ricostruisce tutti i traffici che i pm ipotizzano intorno a Tedesco. Si spinge fino all’imprenditore pugliese Giampaolo Tarantini. Ma fatalmente dimentica di dire che Tarantini era il «collettore» delle ragazze delle cene a Palazzo Grazioli, di cui il premier era «l’utilizzatore finale».
Lo ricorda invece l’Idv, che apprezza il discorso di Tedesco, e voterà  per l’arresto. Quando tocca al Pd, Finocchiaro chiede il voto palese, altrimenti «gli italiani non capiscono». Quello che vorrebbe far capire agli italiani è la novità  che i democratici votano per l’arresto di un proprio collega, e così cercano di guadagnarsi l’indulgenza della montante marea anticasta. Il Pd «sceglie di non calarsi di fronte all’onda, ma compiere gesti di coerenza, costosi. Il più costoso è quello che ha fatto Tedesco».
Appunto, la coerenza: c’è un pezzo prestigioso del Pd che considera «un’aberrazione» il voto palese, e più o meno la stessa cosa l’arresto preventivo, e ancora peggio piegarsi agli umori delle piazze. Prima di entrare in aula, nella riunione del gruppo, Franco Marini ha avanzato i suoi dubbi, e se dovesse arrivare il voto palese è pronto a una pubblica dichiarazione di dissenso. Molti ex ppi lo seguirebbero, Lucio D’Ubaldo lo dichiara apertamente. Franca Chiaromonte, area ex ds e garantista doc, ha gli stessi dubbi.
Alle sei e mezzo sugli Ipad di tutti i senatori c’è la notizia del sì all’arresto di Papa alla Camera. Gli interventi smettono di colpo. Solo Pdl e responsabili (qui si chiamano Coesione nazionale) votano contro l’arresto. Ma lo scrutinio segreto dice che non è così: ci sono 129 sì contro 151 no e 11 astenuti. I conti non tornano, da nessuna parte: dal Pd giurano che mancano all’appello 16 voti della Lega, che ha predicato il sì e praticato il no. All’uscita la tensione si taglia con il coltello: il leghista Monti aggredisce Tedesco: «Dimettiti se sei un uomo». L’ex nazialleato Gramazio cerca la rissa: «L’avete salvato voi, Tedesco», urla a Albertina Soliano. «L’avete salvato voi» gli risponde. Tedesco si concede ai giornalisti, e già  non è più il pacato signore che era aula: «Non mi dimetto, non dò ragione ai magistrati, mi sono già  dimesso da assessore, non faccio il dimissionario di professione. Ma devo dire grazie al centrodestra. Ha fatto un trappolone a se stesso. La lega ha detto di votare a favore e poi ha fatto il contrario. Grazie».

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