In ricordo dei ragazzi di Oslo
Lo sembrava, particolarmente, la Norvegia. Nella classifica dei paesi del mondo in cui si vive meglio, stilata dal Programma per lo Sviluppo dell’Umanità delle Nazioni Unite, alla Norvegia è stato assegnato nel 2009 il primo posto. La popolazione – poco meno di cinque milioni- gode ottima salute, la mortalità infantile è estremamente bassa. Secondo il World Economic Forum la Norvegia ha realizzato il livello più alto nel mondo di parità tra i sessi. Il livello di povertà relativa è molto basso, l’alfabetismo è virtualmente pari al 100% e quasi tutta la popolazione ha compiuto gli studi di scuola media superiore.
Questo diffuso benessere sociale non va affatto a scapito, come sostiene un vecchio pregiudizio “liberale”, dell’efficienza economica. Sempre secondo il World Economic Forum, Svezia Danimarca e Norvegia stanno nei primi sei posti su 104 paesi nella classifica della competitività economica, nella quale l’Italia è recentemente arretrata dal quarantunesimo al quarantasettesimo posto. Quello dei paesi scandinavi, insomma, merita pienamente il nome di socialismo reale, indebitamente e surrettiziamente attribuito alla mostruosa caricatura del socialismo sovietico. Anche il Padreterno sembra disposto a una particolare benevolenza verso la Norvegia, cui ha attribuito la scoperta di vasti giacimenti di petrolio sottomarino che l’hanno promossa ai primi posti dei produttori ed esportatori mondiali. C’è chi afferma che questi beni di Dio sono pagati dai norvegesi e in genere dagli scandinavi, con un alto tasso di noia, oltre che con un clima inclemente. Certo a Scampia c’è sole e non si muore di noia. Ma di altro.
Le ragioni del successo scandinavo? Un sistema di politica dei redditi equilibrato, un sistema di diritti sociali generoso, e soprattutto un allenamento all’educazione politica che ha fatto di un popolo originariamente tra i più aggressivi del mondo una comunità solidale e aperta. Quella comunità è esposta oggi al trauma dell’immigrazione. Poca cosa, ancora: il due-tre percento della popolazione. Ma i soggetti più retrivi, che stanno al fondo di ogni società lo subiscono come una minaccia all’identità , come un segnale d’allarme che si avvelena in frustrazione e in odio. Non bisogna sottovalutare questi portatori di germi. In tempi di crisi possono generare contagi dirompenti. È già successo nell’Europa di ieri. Potrebbe riprodursi in quella di oggi. Talvolta la storia mette in scena nella realtà immagini di densa forza simbolica. Come quella dell’odio selvaggio di un algido imbecille scatenato contro una festa serena.
A dieci giorni dalla strage, noi vogliamo cancellare quella scena dalla nostra mente. Noi vogliamo ricordare quelle ragazze, quei ragazzi nel tranquillo clamore delle loro conversazioni. Delle risa, dei gridi, dei canti. Prima che l’algido imbecille irrompesse a togliergli il loro futuro. Vorremmo tanto, quel futuro, restituirglielo con una impossibile correzione della verità , potergli dire ragazzi non è successo niente. Era solo un imbecille. Continuate così.
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