Il veleno che viene dai ghiacci

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La notizia arriva da uno studio congiunto canadese-norvegese, pubblicato sulla rivista scientifica Nature Climate Change: dosi massicce di una ventina di sostanze velenose denominate “Pop” (persistent organic pollutants, inquinanti organici persistenti) potrebbero riversarsi nell’atmosfera terrestre. Non vengono dallo spazio profondo, ma dalla stessa Terra, le abbiamo prodotte noi, sono di origine antropica.

Il freddo le ha imprigionate nei ghiacci dell’Artico. Ora, il riscaldamento globale sta liberandole per immetterle nuovamente in circolo, trasportate dai venti e dalle correnti marine. C’è il Ddt, ci sono le diossine, possono penetrare e depositarsi nell’organismo di piante e animali – uomo compreso – avvelenandoli o provocando alterazioni genetiche.

PeaceReporter ha cercato di comprendere il significato di questo studio con Sandro Fuzzi, ricercatore dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr (Isac).

“I ‘Pop’ sono definiti ‘persistenti’ perché difficilmente si scindono attraverso reazioni chimiche e sono facilmente metabolizzati dall’organismo in quanto rimangono a lungo nell’ambiente. Possono quindi entrare nella catena alimentare, con effetti tossici e mutagenici. Non esistono in natura, sono stati sintetizzati dall’uomo.”

Perché sono imprigionati nei ghiacci?

Fino a venti-trent’anni fa sono stato usati usati massicciamente, basti pensare all’esempio del Ddt. Poi, quando ci si è accorti che erano pericolosi, sono stati abbandonati e quindi formalmente banditi dal protocollo di Stoccolma, in opera dal 2004.
La loro caratteristica è di essere semivolatili, hanno cioè la tendenza a diventare vapore: nei climi caldi, evaporano e vengono trasportati nell’atmosfera. Nei climi freddi, si condensano e si accumulano, appunto, nei ghiacci. Con il global warming, i ghiacci si sciolgono e i Pop ritornano in circolo. Questo è un processo ormai assodato.
In pratica ci si ritorcono contro errori del passato. Queste sostanze venivano sintetizzate negli anni Cinquanta, quando non si conosceva il loro effetto secondario. A quei tempi si consideravano i problemi ambientali solo a livello locale: quella raffineria inquina in quella determinata area circoscritta. Invece adesso sappiamo molto sul trasporto degli inquinanti a lunga distanza.

Possiamo dire che con il global warming c’è più veleno in giro?

Semplificando, sì. Anche se lo studio pubblicato su Nature Climate Change – sulla cui serietà  non c’è alcun dubbio – non ci dice ancora “quanto”. È presto per trarre conclusioni: per ora sappiamo che è sicuramente un problema, ma non conosciamo ancora la sua consistenza. Spesso, in campo ambientale, riusciamo a verificare problemi che abbiamo sotto gli occhi da anni attraverso intuizioni, come quella che ha portato a questo studio. Loro hanno confrontato la quantità  di sostanze tossiche nell’aria nei periodi di massima e di minima estensione dei ghiacci e si sono accorti che c’è una corrispondenza tra il loro scioglimento e l’aumento di tali sostanze nell’atmosfera. Il campo ambientale è molto complesso, bisogna legare insieme molte informazioni come questa.

 


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