Il Sudan dimezzato sceglie l’austerity

by Sergio Segio | 14 Luglio 2011 6:29

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 JUBA. Archiviati i festeggiamenti per l’indipendenza del Sud Sudan, la separazione tra i due paesi che fino a venerdì sera formavano lo stato più grande dell’Africa sta pian piano diventando realtà . Mentre le strade di Juba continuano a essere attraversate da auto, matatu (minibus) e boda-boda (mototaxi) ornati di bandiere sud-sudanesi di varie dimensioni e a essere tappezzate, soprattutto nel quartiere istituzionale, da poster e cartelloni di auguri e congratulazioni al nuovo stato, la vita dei sud-sudanesi sta tornando alla normalità , dopo la sbornia collettiva, in molti casi non solo figurata, del fine settimana appena passato.

Intanto, a livello istituzionale, il cammino per la definitiva separazione di Sudan e Sud Sudan continua. Sia a Juba che a Khartoum bisognerà  creare dei nuovi governi. Mentre nel Sud il presidente Salva Kiir ha promesso un governo inclusivo ma snello, da formare nelle prossime settimane, a Khartoum martedì il presidente Bashir in un discorso al parlamento ha parlato della nascita di «una seconda repubblica» sudanese, aggiungendo, secondo quanto riporta il Sudanese Media Center, che il nuovo governo dovrà  lavorare per portare riforme, stabilità  e sviluppo al paese.
Anche a livello economico le strade dei due paesi si stanno formalmente separando. Da domenica la banca centrale del Sudan non ha più il controllo sulla sua ex regione meridionale, che ha quindi creato una propria banca centrale. Il nuovo governatore, Elijah Malok, ha annunciato martedì l’introduzione di una nuova moneta per il Sud Sudan, che dovrebbe iniziare a circolare già  dalla prossima settimana. Tutte le banconote del nuovo pound sud-sudanese avranno l’effigie di John Garang, leader storico della seconda guerra civile tra Nord e Sud morto in un incidente aereo nel 2005, e si distingueranno quindi solo per il colore e il taglio.
L’introduzione di una nuova moneta sud-sudanese era prevista ed è stata parte dei negoziati tra Khartoum e Juba sui cosiddetti post-referendum arrangements, ovvero tutte quelle questioni da risolvere tra Nord e Sud in vista della separazione. Meno atteso era l’annuncio, dato sempre martedì, che anche la repubblica del Sudan cambierà  di nuovo moneta, mandando in pensione l’attuale pound sudanese, nato solo nel 2005 in seguito al trattato di pace. La decisione è probabilmente stata motivata dalla grande incertezza e instabilità  economica che il Nord potrebbe attraversare nei prossimi mesi. Mantenendo in corso al Nord il pound attualmente in circolazione in entrambi i paesi, con la creazione di una moneta sud-sudanese a sé stante tutti i pound presenti a Sud sarebbero stati mandati a Nord, con un fortissimo rischio inflazione per una moneta già  indebolita dalla secessione del Sud e dalla perdita delle entrate petrolifere che negli ultimi dieci anni hanno sostenuto la crescita economica senza precedenti del Sudan.
Già  a gennaio, qualche giorno prima dell’inizio del referendum per l’autodeterminazione del Sud che – lo si sapeva – avrebbe quasi certamente portato all’indipendenza della regione, il governo di Bashir aveva frettolosamente varato un piano di austerity, limitando o cancellando il calmieraggio dei prezzi di alcuni beni di vasto consumo, tra cui lo zucchero e i prodotti derivati dal petrolio. I prezzi hanno iniziato a crescere subito, alimentando – assieme ai venti di cambiamento che spiravano dal Nord Africa – delle manifestazioni di protesta a Khartoum e in altre città  del Nord, che sono però state facilmente disperse dalla polizia e dalle forze di sicurezza.
Con l’avvicinarsi dell’indipendenza del Sud e in assenza di un accordo chiaro e definitivo sul petrolio meridionale, l’economia settentrionale ha dato chiari segni di nervosismo e i prezzi di molti beni di ampio consumo hanno ripreso a salire, con l’inflazione su base annua che a giugno ha registrato un netto +17%. Sostituire il pound già  sotto stress e in deprezzamento con una nuova moneta, evitando così l’iperinflazione che l’arrivo dei pound usciti di corso nel Sud nei prossimi mesi potrebbe creare è quindi una mossa importante per cercare di mantenere la crisi economica entro limiti accettabili.
Ma potrebbe non bastare. L’economia del Nord Sudan è fortemente dipendente dalle entrate petrolifere, anche se non tanto quanto quella del Sud. Se infatti il budget di Juba dipende al 98% dell’esportazione del suo oro nero, i proventi del greggio costituiscono circa più del 50% del budget di Khartoum. Tre quarti del petrolio sudanese si trova entro i confini del Sud Sudan, che però non ha le infrastrutture per trasportarlo, raffinarlo ed esportarlo. Per entrambi i governi quindi trovare un accordo è vitale. Ma alle casse del Nord le tasse e i pedaggi che il Sud è disposto a pagare per usare le infrastrutture petrolifere settentrionali potrebbero non bastare. E la crisi economica potrebbe mettere in difficoltà  il sistema clientelare su cui il regime di Khartoum si regge.
*Lettera22

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CONSIGLIO SI SICUREZZA
Via libera alla Repubblica del Sud, avrà  un seggio al Palazzo di vetro

 Ha ottenuto il parere favorevole del Consiglio di sicurezza dell’Onu la richiesta avanzata dal Sud Sudan di entrare a fare parte dell’organizzazione delle Nazioni unite. Il nuovo stato nato dalla separazione delle regioni meridionali del Sudan e formalmente dichiarato sabato scorso sarà  ufficialmente accolto nella ‘famiglia’ della comunità  internazionale con un voto in programma oggi all’Assemblea generale dell’Onu. Subito dopo questo voto, il Sud Sudan diventerà  il 193esimo Stato delle Nazioni unite. Dall’altro ieri, per assistere alle votazioni a avviare formali contatti a New York si trova il vice-presidente della neonata repubblica, Riek Machar. Machar è accompagnato dal ministro degli esteri, da quello delle finanze e dal capo della missione di rappresentanza del Sud Sudan all’Onu.

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