Il sorriso beffardo del mostro di Oslo “Non ero solo, ho agito con due cellule”

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OSLO – Manca un quarto d’ora alle due quando il gippone scuro fa il suo ingresso nel garage del tribunale. «Bastardo», «bastardo», gridano alcuni giovani in mezzo alle centinaia di persone radunate davanti all’ingresso dell’edificio. Un gruppo circonda una macchina, qualcuno tira una paio di pugni sul vetro, ma l’auto è quella sbagliata, quella dell’avvocato difensore: Anders Behring Breivik sta già  entrando nell’aula 828 per la prima udienza d’incriminazione, attraverso una porta secondaria e un ascensore che lo porta dritto nella stanza superblindata dove lo attende il giudice.
C’era rabbia, ma molta compostezza tra chi voleva guardare in volto l’uomo che ha sterminato decine di adolescenti in un isolotto, che ha messo un’autobomba nel cuore della capitale, che farnetica di crociate e guerre sante che nulla hanno a che vedere con la religione. Lo hanno intravisto in pochi lì dietro il finestrino, con il golfino rosso sopra una camicia arancione, lo sguardo fisso e il sorriso compiaciuto, unica immagine dello spietato pluriomicida.
«Ho agito con l’aiuto di due cellule». Questa la prima novità  che “Abb”(come lo chiama la stampa norvegese) ha consegnato ai poliziotti che lo interrogavano e ieri ha ripetuto al giudice Kim Heger. Lo racconta lo stesso magistrato, quando alla fine dell’udienza a porte chiuse, spiega ai giornalisti quanto successo dentro l’aula 828. Racconta di come Breivik abbia «ammesso i fatti» ma si sia dichiarato «non colpevole», contraddizione solo apparente perché nella sua mente la strage di innocenti era giustificata: «Era una strage necessaria, volevo dare un forte segnale per la salvezza dell’Europa contro l’invasione musulmana». Ripete davanti al giudice le farneticazioni del suo manifesto in 1500 pagine, voleva «impedire il dilagare del marxismo culturale», quasi fosse un’attenuante accettabile. Un «forte segnale» anche l’assassinio di ragazzi indifesi, la cui unica colpa era quella di essere a un campo estivo dell’organizzazione laburista: «un partito che ha permesso una massiccia importazione di musulmani che stanno colonizzando la Norvegia». Ce l’aveva soprattutto con Gro Harlem Brundtland, l’ex premier laburista che la mattina di venerdì si trovava proprio sull’isola della strage. Era lei il primo obiettivo, lei doveva morire mentre teneva il discorso ai giovani del campo estivo. Lei la principale colpevole di aver portato la Norvegia nella «direzione sbagliata» con la sua politica di tolleranza e multiculturalismo. Breivik doveva esserci quella mattina, ma non aveva fatto in tempo.
In attesa della prossima udienza, spiega il giudice Heger, “Abb” resterà  in carcere per otto settimane, per le prime quattro (fino al 22 agosto) «in totale isolamento», non avrà  accesso ai giornali e alle tv, non potrà  ricevere visite né avere contatti con l’esterno, a parte il suo avvocato difensore, non potrà  scrivere o ricevere lettere. Dopo si vedrà , dipenderà  dalle indagini in corso e dalle richieste della procura, che potrebbe anche chiedere che venga prolungata (se ci sono le basi giuridiche) la carcerazione. Anche nella prima udienza al «mostro» la Norvegia non viene meno ai principi e ai valori che fanno di questo paese uno dei più civili del mondo, che garantiscono i diritti dell’individuo, anche se quest’ultimo è il peggiore criminale della sua storia recente. Più sicurezza, ma la stessa libertà .
Di indagini ne dovranno fare ancora molte gli investigatori. Per capire chi sono le «due cellule» del terrore (se esistono veramente) che hanno aiutato “Abb”. Un testimone ha riferito che nel primo grande acquisto di fertilizzanti chimici non era solo, ma accompagnato da un altro uomo «più basso di lui». Ma dovranno anche capire cosa non ha funzionato nelle tragiche ore del massacro e se ci sono state falle nella prevenzione. Ieri la polizia ha ammesso che “Abb” era già  stato segnalato dai servizi di sicurezza lo scorso marzo per avere acquistato prodotti chimici in Polonia, una pista che evidentemente nessuno ha seguito. E sempre nell’est europeo (a Praga), avrebbe cercato, senza successo, di comprare armi. Per il momento ha dato un nuovo numero dei morti, per fortuna minore della cifra di cui si era parlato nei giorni scorsi. In totale sono 76, di cui 68 tra i ragazzi dell’isola di Utoya.
Prima dell’udienza (durata 35 minuti) l’intera Norvegia si era fermata per un minuto di silenzio, a mezzogiorno esatto. Ma la straordinaria reazione di questo popolo di fronte a una tragedia così grande si è avuta nel tardo pomeriggio, quando decine di migliaia di persone sono simultaneamente scese nelle strade, ognuna con una rosa in mano, in una lunga processione verso la piazza del municipio, di fronte al vecchio porto. Una «marcia delle rose» organizzata da un privato (e sostenuta da Amnesty International) per commemorare le vittime degli attacchi di venerdì scorso, che ha avuto momenti di alta commozione quando migliaia e migliaia di mani si sono alzate al cielo creando uno sterminato tappeto di rose di grande suggestione. «La Norvegia cambierà », dice adesso il premier Jens Stoltenberg, ci sarà  «un prima e un dopo 22 luglio, ma resteremo sempre una società  aperta, fondata sui valori della democrazia».


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