Il pericolo nascosto dei «rischi sovrani»

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Gli stress test europei hanno bocciato solo 5 banche spagnole minori, due greche e un’austriaca, mentre una tedesca, la Helaba dell’Assia, chiede riservatezza sui propri dati.
Le bocciate dovranno fare presto aumenti di capitale per 2,5 miliardi. Ma un terzo delle banche censite, tra cui alcune francesi e tedesche, si è salvato per il rotto della cuffia e dovrà  anch’esso trovare il modo di rafforzare il patrimonio. Diversamente dal primo, questo secondo giro di stress test ha offerto un’informazione assai più ricca sui rischi di ciascuna banca: avere un capitale comunque pari all’ 8,9%degli attivi come Intesa Sanpaolo non sarà  la stessa cosa di averne uno pari al 5,7%come il Banco Popolare. Il mercato potrà  selezionare. E tuttavia, mentre l’attesa degli esami aveva alimentato i ribassi, l’esposizione delle pagelle non ha spinto al rialzo.
Almeno ieri, giornata nella quale il differenziale di rendimento tra i Btp italiani e i Bund tedeschi è tornato sopra il 3%. Viene il dubbio che le tecniche dei regolatori siano spuntate di fronte all’emergere dei rischi sovrani fin dentro il recinto dell’euro, un fenomeno che può diventare assai più pericoloso dell’insolvenza dei subprime. Nel calcolo dei rischi, pur aggiornato da Basilea 3, i titoli di Stato denominati in euro vengono tuttora considerati senza rischio.
Dunque, non assorbono capitale, a differenza degli altri attivi di bilancio. Ma la crisi greca, se irrisolta, tende a smontare questa teoria. L’incapacità  dell’Unione Europea di salvare la Grecia ovvero di pilotarne l’uscita dalla moneta unica ha provocato un contagio che sta toccando l’Italia. Ora gli stress test considerano i titoli di Stato nel portafoglio bancario destinato alle negoziazioni, una parte minore di questa enorme posta dell’attivo. Sarà  anche inevitabile nell’attività  bancaria, non di meno la dinamica dei tassi parla da sé. Il dilemma, chiaro da tempo, è ormai diventato chiarissimo: o si completa il finanziamento del Fondo europeo di salvataggio -e qui è la Germania che si deve decidere -e si fa capire ai mercati che nessun Paese dell’Eurozona verrà  abbandonato oppure si lasciano andare i deboli al loro destino in modo ordinato ricapitalizzando le banche che, a quel punto, non potranno più evitare di portare a perdita le loro esposizioni verso questi Paesi. Ma fino a quando esisterà  una tale scelta?
 Le dimensioni di Grecia, Portogallo e Irlanda sono forse tali da illudere, ma se la speculazione riuscisse davvero a destabilizzare il debito dell’Italia la partita sarebbe chiusa. Secondo le rilevazioni del Fondo monetario internazionale, che peccano per difetto essendo aggiornate al 2009, il debito di emittenti italiani detenuto all’estero supera i 1.300 miliardi di euro, 800 dei quali di matrice pubblica.
La circostanza che in quella rilevazione la Francia, massima creditrice della Grecia con 53 miliardi, fosse già  allora esposta verso l’Italia per 311 miliardi e che oggi, secondo la Banca dei regolamenti internazionali, sia addirittura salita a 389 miliardi, più di un terzo del credito globale di tutte le banche estere verso di noi, spiega più di tante chiacchiere perché da qualche settimana le quotazioni delle banche francesi siano in caduta. Ma se queste sono le paure, non basteranno a esorcizzarle gli aumenti di capitale, per quanto doverosi anche nelle supponenti Francia e Germania. Le banche sono state salvate dagli Stati, ma chi potrà  salvare gli Stati se non gli Stati stessi?


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