Il medico scambiato per un narcos in cella otto mesi Il furto del passaporto, poi l’arresto

by Sergio Segio | 5 Luglio 2011 6:40

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Nel carcere di Opera. Condannato definitivo. Ad impazzire in cella con la prospettiva di doverci restare 15 anni come narcotrafficante colombiano (anche se tu sei spagnolo), operante in Italia (anche se non ci sei mai stato), soprannominato nelle intercettazioni «el Gordo» (cioè «il Ciccione» e di carnagione olivastra, anche se tu sei magro e di pelle più chiara), con una figlia (anche se hai un figlio). Otto mesi in cella così: prima che l’errore— colossale nella sua genesi e assurdo nell’inerzia burocratica del suo imparabile rotolare— venga a galla e convinca ora la giustizia italiana a risarcirlo, si fa per dire, con 85.000 euro a ristoro di 248 giorni di detenzione dal 17 aprile al 21 dicembre 2009.
 L’allora 42enne osteopata spagnolo non lo sa, ma in Italia il 6 aprile 2005 si parla anche di lui: il gip Maurizio Grigo, su richiesta del pm Mario Venditti, in un’indagine sul narcotraffico internazionale emette ordini d’arresto per 134 persone, tra le quali appunto Josè Vincent Piera Ripoll, alias «Gordo» , alias «Paulo George Da Silva Sousa» .
Non lo saprà  mai perché nessuno glielo dirà  mai: le notifiche, cruciali per il corretto instaurarsi di un giudizio, falliscono tutte, e così è da «contumace» e «latitante» che a sua insaputa va incontro al treno processuale che lo condanna a 15 anni in Tribunale il 17 gennaio 2007, in Appello il 4 dicembre 2007 e in Cassazione il 29 aprile 2008. L’ 8 agosto partono il mandato di cattura europeo e l’estradizione dalla Spagna. Nel carcere di Opera è vicino ad ammattire. Studia il processo che non ha conosciuto e legge che decisivo, per identificarlo nel «Gordo» , fu l’incrocio t r a l e intercettazioni dei narcos e un controllo al casello di Carmagnola l’ 8 agosto 2000, quando i carabinieri di Monza identificarono, insieme a un italiano coinvolto nei traffici (M. B.), anche una persona che il passaporto indicava appunto «Piera Ripoll Vincent Josè, nato a Gandia (Spagna) il 31.10.1963» , poi riconosciuto al Motel Ritz di Varedo il 26 settembre in un altro momento topico dell’indagine antidroga.
Solo che non è lui. Ed è proprio a Opera, per un caso che ha il sapore del miracolo, che lo spagnolo scopre la ragione. Proprio lì c’è anche M. B., in detenzione domiciliare essendo diventato collaboratore di giustizia. E quando lo incontra, avvisa subito i carabinieri che lo spagnolo è lì per sbaglio: era l’osteopata dal quale si era recata la moglie di M. B. e al quale costui aveva rubato il passaporto, per poi consegnarlo al narcotrafficante «el Gordo» col quale era in affari. Ma per gli avvocati Simone Briatore, Stefano Fratus e Antonino Gugliotta resta un’impresa perfino procurarsi quel passaporto per confrontare le foto: dal carcere non riescono ad averlo, e solo grazie a un carabiniere di Monza, S. M., finalmente diventa possibile il paragone che parla da solo, per quanto diversa è la faccia del magro spagnolo da quella del corpulento e olivastro «el Gordo» che girava col suo passaporto.
 Non basta ancora: il 17 dicembre 2009 la Corte di Appello gli nega la scarcerazione, ma per fortuna il Tribunale del Riesame il 21 dicembre 2009 accoglie il ricorso e libera lo spagnolo, che il 25 marzo 2010 vede la Cassazione finalmente annullare la condanna a 15 anni e aprire all’assoluzione in Appello il 27 ottobre «per non aver commesso il fatto» , definitiva in Cassazione l’ 11 gennaio 2011. E ieri anche i giudici milanesi Carfagna-Maiello-Nova, competenti sulla richiesta di ingiusta detenzione, appaiono basiti dalla storia, a giudicare da come decidono di alzare a 85.000 euro l’indennizzo che le tabelle di legge fermerebbero a 58.000. Neanche i soldi che lo spagnolo ha dovuto spendere in avvocati (47.000) e ha perso in reddito (16.000 nel 2008) nel 2009 e 2010.

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