Il manager «invisibile» che girava con la pistola

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MILANO— Il sacerdote e il Supersigillo laico, il più fedele tra i fedelissimi, che gira con la pistola in tasca e ama le partite a briscola, si conoscono a metà  anni Settanta, in una sala d’aspetto della Regione Lombardia. Don Luigi Verzé, non ancora sessantenne, va spesso negli uffici regionali, il suo San Raffaele ha bisogno delle commesse sanitarie della Regione. Mario Cal, nato nel 1939 a Motta di Livenza (Treviso), è un giovane imprenditore veneto, ex ciclista semiprofessionista, con la moglie che gestisce un’attività  di pompe funebri. Due chiacchiere, formali all’inizio, poi più calde, di due persone che trovano immediatamente sintonia.
È l’inizio di un’amicizia lunga 35 anni, tra due uomini molto diversi tra loro. Chi conosce Cal lo descrive come l’opposto e allo stesso tempo l’alter ego di don Verzé. Tanto il prete manager è utopista e imprevedibile, quanto il manager ciclista è pratico e realista. Il sodalizio regge, e anzi si rafforza, via via che il San Raffaele cresce, diventando un centro di eccellenza sanitaria e della ricerca da 57 mila ricoveri l’anno per 8 milioni di prestazioni ambulatoriali.
 Cal, sposato senza figli, due fratelli, la passione per il tennis e per le auto Bentley, prende una bella casa in via della Spiga, la strada delle griffe nel cuore di Milano. E costruisce la sua vita intorno al San Raffaele. Negli ultimi 21 anni è il braccio destro di don Verzé: i supermanager del San Raffaele, come Vincenzo Mariscotti e Renato Botti, sono sue scoperte, tutto il processo di informatizzazione dell’ospedale è frutto di una sua intuizione lungimirante, i cordoni della borsa li tiene sempre lui. Invisibile ai più, ma ben conosciuto dagli uomini di finanza con cui va a trattare i finanziamenti per il San Raffaele (da Roberto Mazzotta, a Cesare Geronzi, fino a Gaetano Micciché).
 I business si moltiplicano: e Cal finisce ai vertici anche delle società  controllate, come la Finraf. Del resto, dagli inizi degli anni Novanta, dopo essere stato consigliere, Cal diventa vicepresidente operativo della Fondazione Monte Tabor, che governa il polo ospedaliero oggi gravato da quasi un miliardo di debiti. È il ruolo che venerdì scorso, con la fine ufficiale dell’era di don Verzé, passa nelle mani di Giuseppe Profiti, il presidente del Bambin Gesù di Roma.
Al prete manager resta la guida spirituale dell’Opera San Raffaele e il merito, che lo consegnerà  alla storia, di avere costruito un colosso sanitario di livello internazionale. Cal rimane con un pugno di mosche in mano. E il peso di venire additato come l’artefice suo malgrado del fallimento finanziario del San Raffaele, con i libri da portare in Tribunale e l’ufficio da svuotare. Troppo, forse, anche per uno che come lui è abituato ad assumersi le responsabilità .
È il 12 novembre 1994, infatti, quando il numero due del San Raffaele finisce agli arresti per presunta corruzione, indagato dal pm Antonio Di Pietro, nello stesso giorno in cui don Verzé festeggia col premier Silvio Berlusconi e Susanna Agnelli l’inaugurazione dei nuovi laboratori di genetica Telethon. Il giorno dopo, ad aspettarlo, fuori dalla prigione di San Vittore c’è il prete manager che, da quel momento in avanti, lo definisce «l’uomo che ha dato il sangue e una notte di galera per il San Raffaele» .
 L’inchiesta finisce nel nulla. E, paradossalmente, Mario Cal torna dietro le quinte fino al 14 marzo del 2010. Ci sono le celebrazioni per il 90 ° compleanno del sacerdote che lo incorona suo successore. «Il futuro dell’Opera è affidato ai Sigilli, i miei collaboratori più vicini che da tanti anni si identificano in ciò che ho scritto— spiega don Verzé a Panorama —. Dite che sono un prete manager. E allora tranquilli: quello che c’è lo lascio in buone mani, soprattutto in quelle di un amico fraterno, Mario Cal, il Supersigillo, una copia di me, un laico, un uomo d’affari, ma libero» .
È l’unico che il prete manager ascolta, ma neanche lui riesce a mettere le briglie al sacerdote. «Buongiorno, sia lodato Gesù Cristo» , gli dice don Verzé tutte le mattine. «Buongiorno, sempre sia lodato» , gli risponde lui. Fino a ieri alle 10.21. Nell’ufficio occupato per anni, una targa appesa alla porta diceva: «Tutto è possibile a chi crede nella Provvidenza» . Tutto è possibile, forse, ma non reggere il peso di un miliardo di debiti. Così l’uomo d’ordine e dei rapporti istituzionali decide di uscire drammaticamente di scena.


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