by Sergio Segio | 24 Luglio 2011 7:01
ROMA.Due stanze in tutto, in una si dovranno alternare Michela Brambilla, Giulio Tremonti e Roberto Calderoli, non c’è nemmeno la scrivania per tutti. Nell’altra stanza Umberto Bossi da solo che, in foto, fa capolino anche sulle pareti accanto a Giorgio Napolitano e allo spadone di Alberto da Giussano. Il «sogno che si realizza» della Lega è poca cosa, 150 metri quadri nella villa reale di Monza, dietro Arcore, con un solo computer e senza telefoni. Facile per l’opposizione bollare l’inaugurazione di ieri delle prime sedi decentrate dei ministeri al nord come «una pagliacciata». Più serio per la maggioranza il fatto che il sindaco di Roma Gianni Alemanno definisca la cosa «inaccettabile sotto tutti i punti di vista».
Umberto Bossi arriva tardi e con gli occhiali scuri perché si è operato di cataratta. Roberto Maroni non arriva affatto, una provvidenziale intossicazione alimentare lo ha sottratto alla compagnia del vecchio capo leghista al quale sta cercando di soffiare il partito. C’è Calderoli con i suoi proclami che vorrebbero essere rassicuranti: «Noi siamo sempre uniti come una volta». C’è Tremonti in pantaloni verde padano che vuole dimostrare che il vecchio asse del nord con i leghisti è ancora solido, ma è noto che i sui problema non sono tanto con l’amicone Bossi quanto con Maroni. La sceneggiata – contestata da un presidio antileghista che ha gridato a Bossi di «andare a lavorare» – è servita a poco altro che a provocare le reazioni dell’anima meridionale o romana del Pdl.
Alemanno soprattutto, in grande difficoltà nel partito per i suoi fallimenti nella capitale, è costretto per farsi notare a prendere sul serio i fatti di Monza. Che per lui sono «l’esatto contrario dello spirito autentico del federalismo che affida alle regioni e agli enti locali il compito di fare da tramite tra il territorio e i ministeri centrali». Toni non diversi da quelli che usa l’opposizione. Per Anna Finocchiaro del Pd «Bossi ha inventato la sua ennesima buffonata al solo scopo di riaffermare la propria supremazia sul governo». Per Francesco Rutelli del Terzo Polo si tratta di «una parata di inefficienza, duplicazione burocratica e negazione del federalismo». Per Antonio Di Pietro invece l’inaugurazione delle due stanze brianzole è addirittura «un atto criminale».
Berlusconi invece non ne parla, parte per la Sardegna per la solita gita domenicale e giura che «il governo va avanti più forte di prima». Non replica a Napolitano che venerdì ha chiarito come la mancata nomina del sostituto di Alfano alla giustizia sia il frutto dei «problemi» del governo. Il cavaliere ha promesso che questa settimana sarà quella buona per convincere il vicepresidente del senato Maurizio Lupi a prendere la grana del ministero di via Arenula, o per convincere Napolitano ad accettare la minestra riscaldata dell’ex ministro Enrico La Loggia. Ma ormai è la quarta settimana che Berlusconi promette di liberare il neo segretario del Pdl che da parte sua è già stato smentito troppe volte per avventurarsi in nuove previsioni. È prigioniero della debolezza di un esecutivo che non può fare un passo senza rimettere in discussione tutti i suoi precari equilibri, al punto che è possibile che anche questa settimana trascorra invano visto che giovedì e venerdì prossimo è in programma il convegnone sulle carceri chiesto da Pannella a Napolitano. Alla presenza del presidente della Repubblica e di quello del senato, la due giorni intitolata alla «Giustizia, in nome della legge e del popolo sovrano» vede un ruolo centrale proprio del Guardasigilli e non sarebbe una bel gesto cambiare il ministro proprio nel corso dei lavori.
Il fatto è che la crisi di Bossi nella Lega è inevitabilmente la crisi della maggioranza, visto il ruolo di perno insostituibile che il vecchio capo ha per l’alleanza con Berlusconi. La successione nei leghisti si è avviata lungo sentieri più tradizionali, quelli del parricidio da parte del delfino Maroni, una cosa inconcepibile nel partito berlusconiano dove il cavaliere ha incoronato il suo successore. Ragione per cui più che alle rassicurazioni di Bossi – «ho parlato con Berlusconi, le cose tra di noi vanno di bene in meglio» – per una volta è meglio credere alla constatazione del presidente del Consiglio quando parla del voto che ha condannato Papa: «La Lega aveva preso un impegno e non l’ha mantenuto, è evidente che sono loro ad avere un problema». Non solo loro, però.
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