Il gong prima dell’ultimo round
Vizi privati e pubbliche virtù. O almeno ci provano. Quella tra Berlusconi e Tremonti è la più forzata delle tregue. Dopo essersene dette di tutti i colori, il primo ministro e il primo dei ministri pranzano insieme a sorpresa a palazzo Chigi per provare a siglare un’intesa su come procedere. L’unico altro commensale ammesso a tavola è Gianni Letta.
L’Italia vede «l’abisso Grecia» e un pasdaran berlusconiano come Osvaldo Napoli intona l’inno alla responsabilità nazionale. In parole povere: smettiamola di litigare.
Pare facile. Tremonti ha dato del « cretino» a Brunetta e del «furbetto» al premier. E Berlusconi lo invita a pranzo proprio nel giorno in cui, sull’odiata Repubblica, lo apostrofa come «l’unico che non fa gioco di squadra, a lui il consenso non interessa, a noi sì. Tanto dove va?». Attorno al ministro – nella bufera per la corruzione e i lussi attorno al suo factotum Marco Milanese, dal governo arriva una solidarietà puramente di facciata. Lo stesso Alfano si limita a dire che «è una persona per bene». Non a caso il colloquio tra Tremonti e il premier viene definito «gelido» da chi ne ha saputo i contenuti. Tremonti è privo di sponde solide sia in parlamento che nel partito che nel governo. Sa che stavolta si gioca tutto e solo l’emergenza può tenerlo ancora a galla.
Ancora una volta sono circolate voci sulle sue dimissioni. Chi lo ha visto lo ha giudicato «provato» dalle inchieste attorno a uno dei suoi pochi fedelissimi. Milanese era qualcosa di più di un consigliere politico. Addetto alle nomine nel parastato e ai rapporti con le commissioni parlamentari. Uomo di mano, relatore dell’ultima manovra lacrime e sangue alla camera in piena tempesta con Fini. Dai verbali che filtrano da Napoli, nel suo interrogatorio del 17 giugno scorso Tremonti ha detto ai pm che vogliono arrestare Milanese di temere «il metodo Boffo» su di sé. Guarda caso, ecco spuntare pochi giorni dopo la vicenda della sua casa, affittata da Milanese ma a sua disposizione e ristrutturata gratis da imprese poi beneficiate di appalti del ministero. Guido Crosetto, sottosegretario tra i più ostili al super-ministro, bolla la vicenda della casa offerta da Milanese come un problema di «braccino corto», lo sanno tutti che Tremonti è tirchio: «Se ti offre un caffè fai un comunicato stampa».
Frasi ad effetto che non rafforzano certo la tenuta del governo. Il nuovo mantra berlusconiano è che il pareggio di bilancio nel 2014 promesso all’Europa non si discute anche se la manovra si può cambiare in parlamento. Berlusconi stesso vorrebbe cancellare il superbollo dei Suv, attenuare i tagli alle pensioni, ridimensionare le tasse sui titoli. Sul perché sia stata approvata con un decreto legge se era una semplice «bozza di lavoro» Tremonti si difende dicendo che restare con la manovra aperta in parlamento fino a settembre sarebbe stato un massacro per un debito pubblico nel mirino della speculazione. Può darsi. Sta di fatto che nell’ultimo mese «collegialità » e insulti plateali sono stati il pane quotidiano della maggioranza. E la stessa tabellina diffusa dall’Economia dimostra che quasi 16 miliardi della manovra dipendono dalla delega fiscale, cioè da un provvedimento di per sé di più lunga attuazione.
Le redini del bilancio sbandano. E in serata si fa sentire di nuovo il Quirinale: «Bisogna insistere nello sforzo per tenere sotto controllo i conti pubblici», dice Napolitano a 360 gradi. Martedì Tremonti volerà a Bruxelles per l’Ecofin. In valigia, oltre ai dolori italiani, la fresca nomina a coordinatore dei ministri finanziari del Ppe.
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