Il giorno di Humala Continuità  e cambio

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 LIMA.Oggi, davanti ai presidenti sudamericani quasi al completo – vistosa l’assenza, a meno di sorprese, di Hugo Chà¡vez per via della sua salute – e di un centinaio di rappresentanti di governi stranieri, Ollanta Humala, eletto presidente nel ballottaggio del 5 giugno scorso, entra in carica per i prossimi cinque anni.

Nei quasi due mesi intercorsi fra le elezioni e l’investitura, ne è passata di acqua sotto i ponti. Una brutta botta alla popolarità  del neo-presidente (calcolata al 70% all’indomani delle elezioni) l’ha data il viaggio del fratello, Alexis Humala, che è volato in Russia a firmare accordi commerciali non ben specificati senza alcun mandato ufficiale, anzi con tutto l’aspetto di un business di famiglia. Un’ingerenza inammissibile sia per il momento – il nuovo governo non era stato ancora nominato – sia perché la parentela con un presidente non costituisce alcun titolo nel commercio estero.
Mentre i media della destra cavernaria, che non ha ancora deposto le armi dopo la guerra sporca delle elezioni, si sono lanciati sulla notizia come avvoltoi gridando all’usurpazione di funzioni, Ollanta Humala ha parato il colpo tardi e male, addirittura dopo 12 giorni di esitazione. Il fratello scomodo, che è sposato con una russa e fa parte di Gana Peràº, la coalizione che ha vinto le elezioni, è stato sospeso e verrà  sanzionato per una iniziativa a dir poco maldestra. Uno scherzetto, comunque, che è costato 30 punti di popolarità  a Ollanta poco prima di assumere il potere.
Positivi invece, e rivelatori, i viaggi fatti nei due mesi dell’interregno: Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay, Cile, Bolivia, Ecuador, Colombia, Stati uniti, Venezuela, Messico e Cuba.
Dai paesi visitati è chiara la vocazione latino-americana di Ollanta che, a differenza del suo predecessore Alan Garcà­a, crede nell’integrazione del sub-continente, un processo già  in atto che non piace a Washington. Il primo viaggio, il 10 giugno, subito dopo la conquista della presidenza, ha avuto come destinazione il Brasile, il gigante continentale a lungo (ma prima di Lula) voltato di spalle al resto dell’America latina.
Una relazione cordialissima con Lula, ereditata da Dilma Rousseff, ha fatto dell’ex-presidente brasiliano un sostenitore e un ispiratore di Humala, che sembra intenzionato ad applicare la formula «lulista»: muovere l’economia con la mano destra – cioè mantenere la rotta neo-liberista e la stabilità  macro-economica – mentre si attivano politiche sociali con la sinistra, per ridurre la miseria degli strati più bassi mediante una sorta di welfare state.
Altri viaggi significativi sono stati quelli in Bolivia e negli Stati uniti, all’inizio di luglio. Con il presidente Evo Morales, Ollanta ha avuto un incontro caloroso da buoni vicini, in cui sono state celebrate le comuni radici andine e si è rievocato il passato di unità  dei due paesi e la speranza di una nuova integrazione futura.
La visita alla Casa bianca, non usuale per un presidente ancora non entrato in carica, avrebbe dovuto svolgersi sotto il segno della disponibilità  e dell’apertura – malgrado il candidato preferito da Washington fosse stata Keiko Fujimori, la figlia del dittatore incarcerato – ma l’incidente russo di Alexis Humala proprio in coincidenza della visita ha buttato acqua gelata sull’incontro. L’unica dichiarazione non protocollare di Ollanta, che aveva incontrato Hillary Clinton in precedenza, si è riferita alla futura lotta al narco-traffico, in cui il Perù collaborerà  con Usa e Colombia.
Quando, pochi giorni fa, Ollanta Humala ha completato la composizione del nuovo governo, molti hanno storto il naso: ci si aspettava più coraggio innovatore da parte del nuovo presidente, che ha finito per confermare l’attuale direttore della banca centrale, nominare un ministro dell’economia conservatore – Miguel Castilla, sottosegretario del governo uscente -, e un altro paio del partito di centro-destra PerຠPosible, indicati dall’ex-presidente Alejandro Toledo, deludendo così le prime speranze.
«Gobierno moderado», ha esclamato con soddisfazione la destra, contenta delle importanti concessioni che rivelano una continuità , quanto meno economica. Ma quello che si cerca di vendere come un governo di concertacià³n – per il fatto che fra i suoi 18 ministri quelli provenienti dalla coalizione vincente sono la minoranza – non è fatto per contentare tutti.
Dice César Lévano, direttore del quotidiano di sinistra La Primera: «Il consiglio dei ministri appena completato presenta un panorama di centro-destra, con isolotti di sinistra e di centro. Sull’orizzonte si disegna l’inosservanza di alcune promesse del presidente eletto». Lévano si riferisce specificamente ai ministeri dell’interno e della difesa, che in campagna Ollanta aveva promesso di affidare a dei civili e ha poi finito per assegnare a due militari, sia pure in ritiro.
Sulle nomine dei ministeri fioriscono in questi giorni le opinioni e i commenti. Si critica la scarsa presenza femminile: tre sole ministre e nominate all’ultimo, come per riempire un buco. Anche se poi, a un esame ravvicinato, si rivelano fra le più competenti: Aida Garcà­a Naranjo, la ministra della condizione femminile, è la segretaria generale del Partido socialista, una formazione superstite della sinistra peruviana; Patricia Salas è arrivata al ministero della pubblica istruzione dopo un percorso dedicato al miglioramento dell’educazione; Susana Baca, nuova titolare della cultura, è una famosa cantante afro-peruviana che, oltre ad aver vinto un Grammy latino, lavora da anni nel recupero delle tradizioni musicali. Una designazione, quest’ultima, che sembra un po’ ricalcata sulla nomina di Gilberto Gil nel governo di Lula e che i soliti maligni tacciano di «discriminazione positiva» alla Sarkozy.
Oggi, 28 luglio, oltre all’insediamento del nuovo governo, si festeggiano i 190 anni dell’indipendenza del Perù. Nel pomeriggio, il presidente si riunirà  con gli undici capi di stato e di governo della Unasur, l’Unione sud-americana di nazioni. La mattina, seguendo il protocollo, Humala aspetterà  nel palazzo di Torre Tagle una commissione d’onore che lo accompagnerà  al Congresso, dove pronuncerà  il giuramento e indosserà  la fascia presidenziale. È incerto fino all’ultimo se il presidente uscente Alan Garcà­a parteciperà  a questa cerimonia, come è tradizione: Garcà­a teme evidentemente che si ripetano i fischi che lo accompagnarono alla fine del suo primo mandato, nel 1990, tanto che ha chiesto assicurazioni ai capigruppo parlamentari. Vari congressisti hanno affermato che il timore che paralizza l’ex-presidente si spiega con la sua coscienza sporca, «per lo stato in cui lascia il paese».
Di fatto, in Perù non è tutto oro quel che luce. La tanto vantata crescita economica ha subito una forte decelerazione negli ultimi mesi, come hanno svelato gli stessi dati ufficiali. Una frenata che, sommata alla crescita dell’indebitamento e alle sfrenate assunzioni clientelari nel settore pubblico, lascia un erario asfittico e pesanti impegni finanziari.
Alan Garcà­a ha passato il suo ultimo periodo di governo inaugurando grandi opere, molte delle quali incompiute. Particolarmente offensiva è stata considerata dalla cittadinanza di Lima l’imposizione di una gigantesca statua del Cristo nel Morro del Sol, sulla costa della capitale. Regalata da una multinazionale brasiliana, la Oderbrecht, in ringraziamento per succosi contratti, e da un contributo di tasca di Garcà­a – almeno così dice – la statua, orrenda sotto il profilo estetico, è una brutta copia del famoso Cristo del Corcovado e l’arguzia popolare l’ha ribatezzato «el Cristo de lo robado».


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