by Sergio Segio | 17 Luglio 2011 8:26
VENEZIA— «Le manette non vanno messe mai se prima non facciamo il processo. Se Papa ha commesso dei reati paghi, ma non va bene mettergli le manette prima, quando ancora non sappiamo se quello che ha fatto è da galera oppure no» . Ebbene sì: la frase è di Umberto Bossi. Lo stesso che neppure 24 ore prima, riguardo alla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del deputato pdl, era stato addirittura brutale: «Papa? In galera» . Il leader leghista parla da un barcone sul bacino di San Marco a Venezia. I giornalisti ammessi alla soirée bossiana per il Redentore sono stati selezionati: ammessi tutti, tranne il Corriere, Repubblica e la Stampa. Bossi, tuttavia, tiene soprattutto a esprimere solidarietà a Giulio Tremonti: «Per lui sono state due settimane difficili, anzi bollenti. Ma Tremonti non si tocca. La situazione non è tranquilla né per noi né per Tremonti. Ma lui è appoggiato dalla Lega» . Ma il caso nasce dalla sortita comprensiva nei confronti di Papa, probabilmente propiziata dal viaggio fatto con Silvio Berlusconi tornando da Roma venerdì sera. Dato che il voto su Papa sarà segreto, l’ipotesi che circola con insistenza è che ad alcuni deputati sarà dato l’ordine di votare contro l’autorizzazione all’arresto. Ed ecco Luca Paolini, uno dei due esponenti leghisti nella giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera: «La linea del partito è chiara: siamo per autorizzare l’arresto di Papa. Certo, se ci sarà il voto segreto, è possibile che qualche singolo parlamentare possa esprimersi diversamente» . Per buona parte della Lega, un vero incubo: lo stop all’autorizzazione nei confronti di Alfonso Papa darebbe un duro colpo alla credibilità del Carroccio. Eppure, nel movimento c’è chi ricorda un precedente. A voler credere a Francesco Tabladini, capogruppo della Lega negli anni Novanta poi fuoriuscito dal movimento e scomparso nel 2009, un comportamento del genere avrebbe un precedente. Nel suo libro «Bossi: la grande illusione» ha scritto che il capo padano nell’ormai celebre 29 aprile 1993 ordinò ad alcuni deputati di votare contro l’autorizzazione a procedere nei confronti di Bettino Craxi per poi gridare subito dopo alla partitocrazia che autoassolve se stessa. Peraltro alla vicenda ieri Bossi ha accennato: «Mandare in galera una persona non ancora condannata, come Craxi, non è servito a nessuno, tranne a far andare in politica Di Pietro» . Un deputato di stretta osservanza maroniana scaccia l’immagine con un gesto: «Oggi, che senso avrebbe? Al governo siamo noi» . Forse il fare un ultimo favore a Silvio? «Macché. Non dimentichiamoci che il giorno dopo il no all’autorizzazione nei confronti di Craxi, ci sono state le monetine di fronte all’hotel Raphael. Noi non scherziamo con il fuoco» . Eppure, c’è chi pensa il contrario. Sul barcone leghista ieri sera non c’era alcun esponente nazionale del Carroccio. E se è per questo, neppure alcun esponente veneto di prima fila. Non il governatore Luca Zaia, non il segretario «nazionale» Gian Paolo Gobbo, non il capogruppo al Senato Federico Bricolo. Commenta a denti stretti un leghista della prima ora: «Forse qualcuno non ha capito che non è più tempo di noleggiare barconi che ricordano il Titanic» .
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