I lupi antisistema con la follia di Unabomber

by Sergio Segio | 24 Luglio 2011 7:46

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E’ da questa tana che è uscito Anders Breivik, l’estremista xenofobo responsabile del massacro in Norvegia. Odiava Al Qaeda e poi ne ha imitato le tattiche. Malediva le ideologie violente e poi è ricorso alla violenza più feroce. Un nazista che criticava il nazismo. Un killer di massa confuso. Gli piacevano «Il Gladiatore» e «300» , il film dedicato ai guerrieri spartani di Leonida. Pensava e pensa di essere da solo nella difesa delle «sue» Termopili, ultimo baluardo contro l’invasione degli stranieri. Attenzione: un lupo solitario, ma non isolato.
Con il passare delle ore sono emerse molte tracce dei contatti con organizzazioni estremiste norvegesi e britanniche. Tanto è vero che la polizia non esclude che possa esserci un complice o addirittura un vero network eversivo. E per questo sta setacciando il computer dell’omicida. La storia recente insegna che in questa forma di terrorismo non bisogna essere in tanti. Per questo è una minaccia insidiosa, per lo stesso motivo è difficile intercettarla o individuarla. «Loro» sono pochi e cattivi. Quando nel 1995 Timothy McVeigh ha devastato l’ufficio federale di Oklahoma City con un camion bomba aveva un solo compagno di avventura. Altri sospettano il contrario. E il simbolo (all’estrema sinistra) della lotta dell’uomo solo contro il sistema, Unabomber, era un eremita. Si era rifugiato in un capanno del Montana e per quasi diciassette anni ha spedito pacchi bomba a professori di università  americani. Ha ucciso, ferito, mutilato usando i servizi postali. Sarebbe ancora nella sua terra selvaggia, senza comodità  e modernità , se non si fosse esposto inviando un manoscritto ai giornali. Il fratello ne ha riconosciuto lo stile e lo ha denunciato. Ma se fosse rimasto sul suo sentiero di caccia probabilmente avrebbe allungato di molto la sua incredibile campagna.
 In Finlandia, due sparatori folli, responsabili di stragi nelle scuole, avevano tagliato i ponti quasi con tutti. Però Pekka Eric Auvinen e Matti Saari— questi i loro nomi— erano in contatto tra di loro. Si scambiavano idee e consigli. Il primo ha incontrato il suo destino finale con una strage nel 2007, il secondo l’anno dopo. Prima che estraessero le loro armi li conoscevano in pochi. Ma gli sterminatori come quelli che negli Stati Uniti fecero strage di compagni e insegnanti alla Columbine— altro nome che evoca uccisioni nelle aule di un liceo — sono soltanto l’aspetto di una tendenza. L’esecuzione dell’attacco è simile, le motivazioni diverse. Esistono punti di contatto ma cambia l’interruttore mentale che accende gli assassini.
 Ci possono essere rabbia, desiderio di vendetta, follia, nemici immaginari. A volte li impastano con principi politici. Veri o presunti. Oppure confondono i bersagli. Come lo svitato Jared Loughner, il killer che ha sparato alla parlamentare dell’Arizona Gabrielle Giffords. Per molto tempo si è pensato che questi massacri fossero una peculiarità  degli Usa, dove l’accesso ai fucili e talune tendenze giocano a favore dei «nemici dello Stato» . Invece l’attacco multiplo pianificato dal norvegese ha mostrato che anche in Europa è possibile e certe idee, per quanto minoritarie, trovano degli esecutori.
Liquidarli soltanto come pazzi è un errore. Perché le conseguenze sono imprevedibili come gli autori del gesto. Anders Breivik ne è la prova. Quando lo hanno circondato non si è tolto la vita né si è fatto ammazzare dagli agenti. Si è invece arreso. Ormai aveva portato a termine la sua missione.

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