I Cie, quei luoghi fuorilegge

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 «Questo posto è un monumento alla violazione della Costituzione». Così il deputato del Pd Furio Colombo ha definito il Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Ponte Galeria, al termine di una visita di due ore condotta insieme ai colleghi parlamentari Rosa Calipari, Andrea Sarubbi, Livia Turco, Vincenzo Vita (tutti del Pd) e Pancho Pardi (Idv). Una visita che si inserisce in una giornata di mobilitazione nazionale contro la chiusura dell’accesso a tutti i centri per immigrati – i Cie ma anche i Cara, dove sono ospitati i richiedenti asilo a gran parte delle associazioni e alla stampa, decretata con una semplice circolare dal ministero degli Interni il 1Ëš aprile scorso. Una circolare con cui il Viminale vieta l’accesso fino a nuovo ordine in tutti i centri ai giornalisti «per non intralciare le attività  rivolte» alle persone all’interno. Lanciata dalla Federazione nazionale della stampa (Fnsi), dall’ordine dei giornalisti, dai parlamentari che hanno partecipato, da varie sigle dell’associazionismo e dai singoli giornalisti che il 26 maggio scorso hanno firmato un appello per ottenere l’accesso ai Cie (pubblicato in prima pagina su questo giornale), la mobilitazione – significativamente denominata LasciateCIEntrare – ha visto visite ispettive in 12 centri in giro per la penisola, condotte da 36 parlamentari (unici soggetti cui non è possibile impedire l’accesso, insieme a poche altre organizzazioni internazionali). Visite che hanno fatto emergere una situazione di grave emergenza, soprattutto all’interno dei Centri di identificazione ed espulsione. Dopo l’approvazione del decreto che aumenta il periodo di permanenza da sei a 18 mesi (che la maggioranza cercherà  di convertire in legge entro la settimana), numerosi sono stati i tentativi di suicidio e vari gli atti di autolesionismo registrati nei centri. «Qui dentro ci sono solo poveri cristi. Gente che non dovrebbe esserci», ha sottolineato la deputata Rosa Calipari all’uscita di Ponte Galeria. Nella struttura alle porte di Roma, come in molti altri Cie soprattutto nel nord Italia, sono infatti trattenuti diversi cittadini stranieri transitati per il carcere. «Queste persone hanno scontato delle pene e, all’uscita, vengono portate qua per identificarle e procedere al loro rimpatrio. E’ un’assurdità », ha evidenziato Livia Turco, che pure è la firmataria (insieme all’allora ministro degli interni e attuale presidente della repubblica Giorgio Napolitano) della legge che nel 1998 creò i cosiddetti Centri di permanenza Temporanea (Cpt), antesignani degli odierni Cie. «I Cpt erano un’altra cosa. Erano istituiti in cui si veniva trattenuti in via eccezionale. E al massimo per 30 giorni», ha puntualizzato Turco. I parlamentari hanno quindi voluto aggiungere alcuni punti programmatici per il futuro, come lo stralcio della norma che prevede l’allungamento del tempo di trattenimento da 6 a 18 mesi e l’abolizione del reato di clandestinità  introdotto con il pacchetto sicurezza. «Le cose che abbiamo visto oggi all’interno delle Guantanamo d’Italia targate Maroni, mi hanno convinto ancora di più che la legislazione sull’immigrazione del centrodestra deve essere rasa al suolo, a partire dal suo architrave, quel mostro giuridico chiamato reato di immigrazione clandestina», ha detto il deputato del Pd Jean-Léonard Touadi (Pd), all’uscita della sua visita al Cie di Via Corelli a Milano. Tutti d’accordo sulle critiche all’inasprimento della legislazione sull’immigrazione introdotto dall’attuale governo e dal ministro degli interni Roberto Maroni. Ma su un punto i parlamentari dell’opposizione non arrivano a esporsi fino in fondo: quello dell’eventuale chiusura dei Cie in quanto tali. «Noi combattiamo il modo in cui sono gestiti questi centri. Così come sono, non hanno ragione di esistere, sono solo strutture detentive», ha detto Livia Turco. All’uscita del Cie di Bari Palese, i deputati Dario Ginefra (Pd) e Pierfelice Zazzera (Idv), ne hanno richiesto l’immediata chiusura. «Il Cie di Bari andrebbe chiuso anche per motivi di sicurezza e questa decisione dovrebbe essere assunta, senza ulteriori esitazioni, sia nell’interesse degli ospiti immigrati che del personale civile e militare in esso operante». E gli altri? I partiti dell’opposizione arriveranno a mettere al centro della loro agenda politica futura la chiusura di tutti i centri?

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PONTE GALERIA
Lite tra due immigrate, fermate a colpi di manganello

 Picchiata con manganelli dai finanzieri, che volevano sedare una rissa. La denuncia arriva – con tanto di foto in cui si vedono le lesioni sulla schiena e sulle braccia – da una ex trattenuta di nazionalità  tunisina del Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria. Racconta la giovane reclusa al sito Fortress Europe (fortresseurope.blogspot.com): «Stavamo giocando a calcio, io ho colpito la palla e ho preso una ragazza nigeriana sul viso, abbiamo iniziato a insultarci e alla fine ci siamo prese per i capelli. Nessuna mollava la presa e sentendo le grida sono entrati tre uomini, due della Guardia di Finanza e uno in borghese. Hanno iniziato a manganellarmi per separarci, davanti a tutte le ragazze che assistevano alla scena. Sono stata picchiata dietro la schiena, sul braccio e alla spalla. Mi sono lamentata più volte con gli infermieri del Cie per i forti dolori chiedendo di poter essere accompagnata in ospedale. Ma mi hanno dato sempre e solo dei tranquillanti». Tutto ciò è successo all’inizio di giugno. Oggi la reclusa è libera e può raccontare la sua storia, mostrando anche i segni delle ferite. Le scene di violenza non sono nuove nei centri di identificazione ed espulsione. Molte volte gli uomini della sicurezza sono intervenuti in modo muscolare, soprattutto per sedare rivolte. Ma questa volta vittima della violenza è stata una donna, a ulteriore dimostrazione che i Cie sono luoghi fuori dal diritto, dove qualsiasi cosa può accadere.


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