by Sergio Segio | 2 Luglio 2011 16:39
Molto smagrito rispetto alle ultime fugaci apparizioni, senza l’apparente «invulnerabilità » che esibiva, Chà¡vez ha raccontato che dopo l’intervento del 10 giugno all’Avana per rimuovere «l’ascesso pelvico» da cui era stato colpito durante le precedenti tappe del suo viaggio (Brasile ed Ecuador, prima di Cuba), ha dovuto sottomettersi a un secondo intervento, «grosso ma senza complicazioni», per l’asportazione di un tumore.
A dargli la cattiva notizia è stato lo stesso «Fidel in persona»: è stato il leader cubano a dirgli che «gli studi avevano confermato l’esistenza di un tumore con presenza di cellule cancerogene», che ora è stato «rimosso totalmente». Dopo di che «ho cominciato a riprendermi in modo soddisfacente mentre ricevo i trattamenti complementari per combattere i diversi tipi di cellule trovate». Insomma, sembra di capire, chemioterapia e radioterapia. Chà¡vez non ha detto però dove fosse il tumore (le voci dicevano alla prostata) né di che grandezza e di che gravità fosse. Ha detto però, per tranquillizzare i suoi e tacitare gli oppositori, che lui «continua al comando» del paese, anche se ha evitato di fare previsioni sul ritorno. Il Venezuela chavista sperava e spera ancora di rivederlo a Caracas martedì prossimo quando il Venezuela celebrerà il bicentenario della indipendenza dalla Spagna. Ma a occhio sembra difficile. Tanto che è già stata annullato un vertice regionale previsto il 5 e 6 luglio nell’isola Margarita. Continua a governare ma il recupero sarà «un processo lento e prudente che non consente la fretta o le pressioni», dopo aver riconosciuto «il grande errore» di non aver fatto test medici più rigorosi in passato.
Anche la fine del breve discorso non stata rombante come in passato: «Grazie Dio, grazie mio popolo, grazie vita mia, noi continueremo vincendo, per adesso e per sempre vivremo e vinceremo. Per ora e fino al ritorno».
Dopo che il presidente aveva finito alla tv statale venezuelana è apparso il governo al completo. A parlare è stato il vicepresidente Elias Jaua che ha cercato di tirar su il morale affermando che «non c’è tempo per la tristezza» ma che il paese deve mostrare «unità » e «massima disciplina» concludendo, lui sì, con lo slogan di chiusura chavista «Patria, socialismo o muerte». Più tardi ha parlato anche il comandante in capo delle forze armate. Il generale Henry Rangel Silva ha assicurato che «il paese è calmo», che il presidente «sta recuperando in modo soddisfacente», che «presto» ritornerà e che è sempre «in carica».
I dubbi però, sia fra i chavisti sia fra gli anti-chavisti, sono molti. Perché Chà¡vez è Chà¡vez, lui è il leader carismatico. E – sicuramente uno dei limiti della rivoluzione bolivariana – non c’è nessuno che al momento possa sostituirlo. Né il fratello Adà¡n (in una sorta di remake di quanto è evvenuto a Cuba), né il vice Jaua.
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