Gli operai, i giudici e Marchionne

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Visto che è ancora garantito il diritto di sciopero, meglio approfittarne. Poi entreranno in vigore il modello Marchionne e il nuovo accordo interconfederale, incentrati sul divieto (in Fiat) e le possibilità  di deroga (ovunque) e chi s’è visto s’è visto. Così venerdì prossimo si fermeranno per otto ore i lavoratori del Lingotto, sia quelli occupati (si fa per dire) alla Fiat Spa (auto) che i dipendenti della Fiat Industrial (Iveco, Cnh e via producendo). La ragione della protesta attiene al salario, alla democrazia e alla decenza: è dal 2009 che l’azienda non eroga il saldo del premio di risultato, scaduto ma in prorogatio con una perdita salariale di 2.800 euro. La Fiat si limita a pagare la parte mensilizzata, intorno ai 100 euro. La cosa è ancor più intollerabile, spiega il responsabile auto della Fiom, Giorgio Airaudo, se si considera che sono stati distribuiti i dividenti agli azionisti. Non solo. Alle figure gerarchiche vengono elargiti premi di fine anno che oscillano tra i 3 mila e i 20 mila euro. Torna in mente lo slogan antico ma efficace degli anni Settanta: «come mai/ come mai/ sempre in culo agli operai».
Siccome tra i mancati contratti unitari e il peso della cassa integrazione la busta paga operaia ha raggiunto livelli insostenibili, a incazzarsi per il mancato premio di risultato non sono solo i militanti Fiom ma tutti i lavoratori, Fim e Uilm hanno deciso di convocare un loro sciopero per lo stesso giorno, il 15 luglio, ma in modo non unitario e di sole 4 ore, anche se in alcune realtà  produttive, come la Sevel in val di Sangro, il lavoro sarà  bloccato per tutti per l’intera giornata. Naturalmente a scioperare saranno i dipendenti non in cassa integrazione, mentre quelli a casa dovranno aspettare di essere richiamati in fabbrica per bloccare la produzione. Lo sciopero è stato preceduto da diverse fermate negli stabilimenti della Cnh (macchine agricole e movimento terra), della Marelli, della Sevel, dell’Iveco e della motoristica.
Questa per la Fiat è una settimana densa di appuntamenti, alcuni destinati a condizionare i piani di Sergio Marchionne. Giovedì è attesa la sentenza del giudice di Melfi sul ricorso Fiom contro tre licenziamenti, due dei quali di delegati Fiom; venerdì c’è lo sciopero; sabato è convocata l’udienza del processo di Torino che si concluderà  con la sentenza sulla denuncia per antisindacalità  del contratto di Pomigliano (e Torino e Grugliasco). Se il giudice Ciocchetti dovesse condannare la Fiat per antisindacalità , l’intero modello Marchionne salterebbe in aria, che la sentenza assuma in parte o in toto le tesi dei legali Fiom – relativamente all’esclusione dalla fabbrica dei sindacati non firmatari dell’accordo-ricatto, nonché al trasferimento di ramo d’azienda che presuppone per legge il mantenimento del salario e dei diritti acquisiti. Ma venerdì, dentro lo sciopero generale ce ne sarà  un altro specifico che coinvolge tutti i lavoratori e i sindacati dell’Iribus della Valle Ufita, Avellino: la Fiat è intenzionata a chiudere lo stabilimentoche produce autobus per il trasporto urbano, sostenuta in questa decisione dal governo che non investe un euro sul rinnovo del parco più vecchio e inquinante d’Europa. Ma siccome il Lingotto ha quattro stabilimenti che fanno la stessa produzione (uno in Italia, uno a Barcellona, uno in Francia e il più importante in Cechia), quando finalmente sarà  rinnovato il parco circolante la produzione finirà  tutta all’estero. Se chiudesse Avellino mandando a casa i suoi 685 dipendenti, più i molti occupati nell’indotto, sarebbe la terza fabbrica cancellata da Marchionne dall’inizio della crisi, con la Cnh di Imola (570 dipendenti più l’indotto), il 31 dicembre Termine Imerese (1.470 lavoratori più quelli dell’indotto). A questi numeri catastrofici vanno aggiunti i 30 mila giovani precari rimandati a casa e migliaia di uscite incentivate.
Per la Fiom la partita di Termini Imerese è ancora aperta nonostante i segnali pessimi in arrivo dalla Sicilia. A fine luglio terminerà  il lavoro delle aziende dell’indotto, cosicché la decisione di fine produzione del 31 dicembre sarà  anticipata. Il governo, dopo l’annuncio roboante che avrebbe garantito con i nuovi acquirenti 3 mila posti di lavoro, latita. «Termini resta Fiat – dice Airaudo – finché non partirà  la produzione con nuovi proprietari. E fino a quel giorno, dalla fabbrica non uscirà  una linea di montaggio né un bullone».


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