Giallo sulla riforma Calderoli “Approvata”. “No, a settembre”

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ROMA – Riforma costituzionale Calderoli approvata in Consiglio dei ministri. Anzi no, se ne riparlerà  a settembre. Il 4, per l’esattezza, annuncia il premier Berlusconi con una involontaria gaffe: è una domenica. Gli alleati della Lega rampognano, danno il ddl già  per approvato e lo mettono pure per iscritto. Così, nel giro di poche ore, quella che doveva essere la risposta fast food del governo al nodo costi della politica si trasforma in un “giallo”.
Scende insolitamente da solo, il presidente del Consiglio, nella sala stampa di Palazzo Chigi, dopo tre ore di laboriosa riunione. Solitudine del Cavaliere accentuata dall’assenza al suo fianco dello stesso ministro leghista, che pure sarebbe il padre di questa nuova carta costituzionale dopo esserlo stato del “porcellum”. C’era in Consiglio, come pure Maroni, ma mancava Bossi per l’intervento alla cataratta. Il fatto è che lì sono fioccate le proposte di modifiche. Al Pdl piace pochissimo la bozza e a poco servirà  alla fine il faccia a faccia tra il premier e Calderoli. Il ministro del Carroccio va via contrariato. Sul testo campeggia la doppia firma: Berlusconi-Bossi. Ma finisce col diventare l’ennesimo capitolo del braccio di ferro tra il Cavaliere e il Senatur. Perché il disegno di legge viene approvato «salvo intese», aperto cioè a interventi correttivi che un comitato di ministri e capigruppo di maggioranza porteranno durante la pausa. L’incidente diplomatico si apre nel momento in cui da Palazzo Chigi si precisa la storia del 4 settembre sostenendo che il varo in cdm è stato definitivo, anche se il ddl verrà  inviato al presidente Napolitano per la firma solo dopo la revisione, a settembre, appunto. Ma quale ulteriore passaggio?, protesta a stretto giro con un’altra nota, il ministro Calderoli. Il testo è definitivo, scrive, non ci sarà  alcun altro esame e quello di Berlusconi è stato un «lapsus». La Lega piuttosto esprime «grande soddisfazione» per l’ulteriore conquista dopo il federalismo.
La bozza prevede la trasformazione dell’aula di Palazzo Madama in Senato federale da eleggere coi consigli regionali, il taglio dei parlamentari (250 deputati e 250 senatori), l’evoluzione del premier in «primo ministro» in grado di nominare e revocare i ministri e chiedere al capo dello Stato lo scioglimento della Camera. Ma anche la soppressione del voto all’estero, la sfiducia costruttiva con indicazione del nuovo premier, l’abbassamento a 21 anni della soglia per essere eletti. Non tutto però convince il premier. Berlusconi pensa alla modifica della Corte Costituzionale, chiede che sia il presidente del Consiglio a sciogliere le Camere (e non il capo dello Stato), per esempio. E anche tra i ministri non sono state poche le riserve sulla coerenza del ddl con l’assetto costituzionale complessivo. Lo boccia già  del tutto il presidente della Camera Fini: «Quel ddl somiglia a un volantino per le feste padane, l’Italia non ne ha bisogno».


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