Genova 10 anni dopo

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GENOVA. Su di un lato di piazza Alimonda c’è ancora, tutto ammaccato e ossidato, uno dei cassonetti in alluminio che fermarono il Defender dei carabinieri, prima che Mario Placanica premesse il grilletto. Alla scuola Diaz hanno appeso i quadri: genitori e figli lasciano l’auto più in là , perché in via Battisti come al solito non si trova un posteggio. Poi restano a chiacchierare nel cortile dell’istituto: furono trafugate qui le due molotov fasulle che dovevano giustificare il massacro dei 93 no global. Nella caserma del Reparto mobile di Bolzaneto, dove 252 persone sono state torturate per tre giorni e tre notti, si respira un silenzio irreale e inquietante.
I giorni della rabbia    Il procuratore Luciano Di Noto: “Nessuno s’è ancora assunto la responsabilità  politica di quei momenti terribili” Anche tra le forze dell’ordine c’è chi chiede giustizia “Certi avanzamenti di carriera sono stati inopportuni” accusa il sindacato I poliziotti condannati per le violenze e poi promossi Le vittime che tremano ancora perfino davanti al controllore del treno. Dieci anni dopo, Genova resta una città  ferita: “Qui lo Stato non ha mai chiesto scusa” dice il sindaco. E i ricordi rischiano di diventare veleno.
Quello stesso silenzio raccontato da Valérie Vie, la mamma di Avignone che aveva “violato” la Zona Rossa a braccia alzate e che dopo le manette s’era presa un bel pugno in faccia da una poliziotta. A Genova non è cambiato nulla. Sì, forse un po’ di intonaco e qualche mano di vernice sui muri: ma tanto a luglio vengono sempre via da sole, lasciando scoperte le ferite profonde di allora. Che non si rimarginano.
Sono dieci anni da quel G8 blindato, dalla repressione del movimento pacifista, dall’illusione di un altro mondo possibile. Dalla guerriglia urbana, dal Black bloc e dalle Tute bianche di Luca Casarini. Dieci anni dalla morte di Carlo Giuliani. L’anniversario di un pezzo di storia italiana irrisolta. Un lutto che il capoluogo ligure e l’universo no global celebrano in città  con tre settimane di mostre, dibattiti, proiezioni di film, concerti. E una marcia, il 23 luglio, su cui qualcuno già  addensa nuvole nere. Dieci anni. Un anniversario nella speranza di ricominciare da quel corteo dei trecentomila che nel 2001 chiudeva le manifestazioni di protesta contro i Grandi, e che fu brutalmente disperso dalle forze dell’ordine. Un anniversario nell’ostinata attesa di scuse e di un’assunzione di responsabilità  – da parte dello Stato e della sua Polizia – che non arriveranno. Mai. Come l’istituzione di una commissione parlamentare.
Non è cambiato nulla. Il sindaco Marta Vincenzi è il primo dei genovesi che parla di un «buco nero» originale delle nostre istituzioni, colpevoli di «violenze ed ambiguità » durante il vertice internazionale. «Genova era ed è, ancora, una città  ferita. Offesa. Che ha perduto un figlio. Un’icona. Carlo Giuliani». Una città  che affronta questo decennale “unita”, aggiunge. “Nella speranza di poter finalmente riprendere, proprio da Genova, quel discorso di pace e solidarietà  che avevamo cominciato nel 2001». Allora la Vincenzi, presidente Ds della Provincia, partecipò al primo corteo, quello dei migranti: «In quei giorni la mia città  era l’ombelico di un mondo diverso, di un pensiero nuovo restituito alla politica. C’era grande fermento e attenzione per gli squilibri economici mondiali. Poi arrivarono la violenza, l’ambiguità  dello Stato. E l’undici settembre trasformò il confronto tra Islam e Occidente nel problema globale». Il primo cittadino riprende e condivide il duro commento espresso dal procuratore generale di Genova, Luciano Di Noto. «Genova è una città  che non dimentica. Che è fiera del suo passato. Balilla, il Risorgimento, un 25 aprile unico in Italia», confida Di Noto. Ma il G8 scorre ancora nelle vene di tutti. E fa male. È un veleno che il destino dorato dei superpoliziotti responsabili della gestione dell’ordine pubblico del 2001, condannati nei tribunali ma promossi ai vertici del ministero dell’Interno (anche il medico della caserma di Bolzaneto, tristemente noto come il “dottor Mengele”, ha da poco ottenuto il bonus di produttività  dalla sua Asl) hanno reso micidiale. «Meraviglia che di fronte a fatti così gravi non ci sia stata da parte dello Stato una presa di coscienza, anche per rispetto verso la città », dice il procuratore. «Ecco, forse, perché restano dei conti in sospeso. Qualcuno avrebbe dovuto prendersi la responsabilità  istituzionale, che è altra cosa rispetto a quella personale. Mi aspettavo che qualcuno chiedesse scusa. E che chi aveva alte responsabilità , si dimettesse. Ma vi sembra possibile che dopo dieci anni non si sia riusciti a capire chi sia una delle persone che ha firmato il verbale di arresto della scuola Diaz?». Di Noto e la Vincenzi, Genova e tutto il movimento no global, chiedono un regalo per questo decimo anniversario. In fondo ne abbiamo diritto, dicono. L’istituzione di una commissione di inchiesta parlamentare. Quello che sorprende è che come loro la pensa anche la cosiddetta “truppa”, la polizia genovese. Che giura di essere stata «commissariata» dieci anni fa dai funzionari venuti da Roma. E di pagare ancora oggi – in termini di tagli di personale e mezzi, rispetto a realtà  analoghe – il peccato mortale del 2001. «Bisogna voltare pagina, finirla con il G8. Recuperare la fiducia della gente. E per farlo serve un segnale dal centro, da Roma. Loro sono l’anello “forte” di questa catena», dice Roberto Traverso, segretario locale del sindacato di categoria, il Silp. «Il procuratore ha detto delle cose giuste. Certe promozioni sono state inopportune, soprattutto dopo le condanne».
Non è cambiato nulla. Traditi due volte. Delegittimati, socialmente esclusi. Genova e quelli che durante il G8 erano scesi per manifestare, si sentono ancora così. E dieci anni pesano da morire. Due psicologi, Adriano Zamperini e Marialuisa Menegatto, hanno presentato un libro (Cittadinanza ferita e trauma psicopolitico) che è il risultato di un’indagine sulle vittime dei soprusi e delle violenze di quei giorni. A partire dalla campagna che aveva preceduto il vertice, in cui fantomatiche informative dei servizi segreti lanciavano allarmi assurdi parlando di «sacche di sangue infetto lanciato sulla polizia». Gli autori hanno cercato più volte di ascoltare anche i rappresentanti delle forze dell’ordine, «ma il Viminale ci ha sbattuto la porta in faccia». Li ha presentati Nando Dalla Chiesa «per ricordare giorni in cui i diritti sono stati impunemente sospesi». Hanno raccontato le storie di chi, dieci anni dopo, ha ancora paura di salire su di un treno perché ha intravisto un controllore in divisa. E la storia di un medico del pronto soccorso di Genova che non riusciva più a curare agenti, perché dieci anni prima aveva visto alcuni di loro dare la caccia in ospedale a ragazzi gravemente feriti.
Antonio Bruno, del comitato Verità  e Giustizia per Genova, dice che Genova «non ha ancora elaborato il suo lutto». La città  vorrebbe uscire da questo buco nero, ma non può. Non le è permesso. «Per una riconciliazione ci vuole la buona volontà  di tutti. E un’ammissione di responsabilità ». Ci vogliono le scuse. «È successo con la Shoah. È successo con il percorso fatto in Sudafrica per andare oltre le leggi razziali, e in Australia per superare l’emarginazione aborigena». Ma non in Italia, non a Genova. Non ancora.
Cassandra (sottotitolo: Loro la crisi. Noi la speranza) è il nome del progetto che coinvolge una città  che si ostina a non voler dimenticare. Tra gli organizzatori c’è anche Haidi Gaggio Giuliani, la mamma di Carlo. «Cassandra diceva la verità , e nessuno voleva crederle. Genova e il movimento dicevano la verità  dieci anni fa, quando parlavano di diritti e di squilibri sociali. I fatti ci hanno dato ragione. Il dramma della repressione ha nascosto il messaggio. Però oggi possiamo ripartire. Da quei giorni». Qualcuno, con puntuale anticipo, già  paventa possibili incidenti e infiltrazioni dei Black Bloc per il corteo del 23 luglio. Il sindaco Vincenzi risponde ringraziando proprio i genitori di Carlo Giuliani, che in questi anni sono stati un «punto di riferimento per la capacità  di dialogare con tutti, per il coraggio nel continuare ad avere fiducia e non allargare il solco». Perché Genova è una città  che non dimentica, ma ha ancora fiducia. E voglia di riconciliarsi.


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