Forse la Grecia si salverà  ma l’Italia non crescerà 

by Sergio Segio | 24 Luglio 2011 7:39

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Tutto a posto.
L’ha detto Christine Lagarde a nome del Fondo monetario internazionale, l’ha detto il presidente della Commissione di Bruxelles, Manuel Barroso, il presidente dell’Ue, il presidente dell’Eurozona, il presidente della Bce. E l’hanno confermato la Merkel e Sarkozy.
Tutto a posto, ma niente in ordine. E perché? Perché l’agenzia di rating Fitch, la più piccola e di solito la più prudente delle tre agenzie di rating americane, ha pronunciato la parola «default» a proposito del salvataggio della Grecia. Per essere esatti: ha definito l’operazione da 160 miliardi un “selective default”. È mai possibile che nonostante la contentezza di tutte le autorità  europee, la buona accoglienza dei mercati e la dimensione delle risorse mobilitate, basti la dichiarazione di un “rater” a frenare entusiasmi così generalizzati e autorevoli?
È bastato. Non ha invertito il “trend” ma ha suscitato allarmi e riflessioni. Si vedrà  domani se il giudizio dei mercati rilancerà  le aspettative positive oppure le investirà  con nuovi attacchi.
Silvio Berlusconi è tornato da Bruxelles molto tonico e ha detto l’altro ieri che «non esiste un caso Italia».
Strano. Esiste ancora un caso Europa e il caso Italia è scomparso? Il nostro Parlamento può tornare alle sue consuete operazioni per bloccare il processo Ruby e per imporre il “processo lungo” in favore del premier? Perché al resto ci ha pensato e ci penserà  la signora Merkel? Ma state sognando ad occhi aperti o volete ancora una volta prendere in giro gli italiani?

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L’operazione di salvataggio da 160 miliardi delinea allo stato dei fatti un quadro generale, i dettagli del quale non sono ancora stati definiti. Infatti i commenti degli osservatori divergono uno dall’altro. Secondo alcuni hanno vinto Trichet e la Bce, secondo altri hanno vinto le istituzioni politiche della Ue, secondo altri ancora non ha vinto nessuno perché tutto è ancora incerto.
Alcune certezze tuttavia ci sono e non possono essere messe in dubbio. Anzitutto la dimensione della manovra di salvataggio: 109 miliardi del Fondo europeo di stabilità , 37 miliardi dall’aiuto volontario di banche e società  di assicurazioni internazionali, 14 miliardi di operazioni di riacquisto di titoli pubblici greci.
La seconda certezza riguarda i maggiori poteri conferiti al Fondo europeo di stabilità , che potrà  d’ora in poi acquistare titoli sul secondo mercato quando la situazione d’un paese lo richiedesse. La terza certezza riguarda la Bce che accetterà  titoli greci che le venissero offerti dalle banche come collaterali di garanzia per operazioni di risconto, applicando a tali operazioni le stesse condizioni di prezzo e di durata che le banche hanno volontariamente convenuto con le banche greche. Infine la quarta certezza è che un terzo del debito greco è stato venduto dalle banche greche che ne erano imbottite a prezzi notevolmente inferiori a quelli di emissione e con tempi di rimborso molto più lunghi. Questo è appunto il «selective default» segnalato dall’agenzia Fitch.
Dal punto di vista italiano ci sono due aspetti da segnalare, uno positivo e l’altro negativo. Quello positivo consiste nell’effetto di contagio che nelle scorse settimane si era propagato dal debito greco verso il debito italiano. L’intervento del Fondo europeo di stabilità  e i maggiori poteri che gli saranno conferiti riduce fortemente il contagio, specie se l’ammontare delle risorse che gli saranno affidate sarà  opportunamente aumentato.
L’aspetto negativo riguarda l’aumento delle garanzie che anche l’Italia è tenuta a dare alle operazioni del Fondo di stabilità . Il maggiore onere italiano è di 13 miliardi. Non si tratta d’un versamento effettivo ma d’una garanzia, quindi un debito di firma come si dice in gergo bancario, che tuttavia entra a far parte del debito italiano sia pure soltanto dal punto di vista contabile.
Questo è il quadro del salvataggio greco. è il caso di avvertire che esso entrerà  in funzione a settembre e sarà  applicato gradualmente fino al 2014 seguendo le scadenze dei titoli greci. Di qui a settembre non avverrà  nulla per ragioni tecniche. è auspicabile che anche i mercati in questa fase si addormentino. Auspicabile ma non certo.
Resta ora da vedere se l’operazione di salvataggio greco assorba interamente i guai dell’economia e della finanza italiana per la parte manchevole della nostra manovra approvata in due giorni dal nostro Parlamento.

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Si è detto autorevolmente nei giorni scorsi, dopo l’attacco della speculazione e le reazioni negative dei mercati nei confronti del nostro debito sovrano nonostante la severità  della manovra voluta da Giulio Tremonti, che il nocciolo del problema non era italiano ma europeo. Se l’Europa avesse dato risposte efficaci, noi con la manovra tremontiana ormai approvata non avremmo avuto null’altro da temere, a parte i disagi sociali che colpiscono alcune fasce di reddito e alcune categorie sociali.
Questa diagnosi contiene soltanto mezza verità . È certamente vero che il salvataggio greco contiene alcuni elementi importanti che prefigurano una maggiore unità  fiscale europea e altri elementi che diminuiscono le possibilità  di contagio tra i debiti sovrani. Ma è del pari vero che per eliminare il contagio occorre che ogni paese predisposto a contrarre la malattia contagiosa deve fare quanto è necessario per immunizzarsi. La cancelliera Merkel ha dichiarato che «la manovra italiana è buona, ma l’Italia deve fare altro e di più»; dal canto suo il Fondo monetario internazionale ha anch’esso giudicato positivamente la manovra italiana osservando però che «è indispensabile rilanciare la crescita se si vuole che il paese esca dallo stallo in cui ristagna la nostra economia».
Ecco perché affidare la cura nei nostri malanni all’Europa contiene soltanto una mezza verità . La frase di Berlusconi che abbiamo riportato all’inizio e cioè che «non esiste un caso Italia» è una madornale bugia. Non è la prima e non sarà  l’ultima, ma sarebbe ancora più grave se fosse accreditata da osservatori seri e oggettivi. Il caso Italia esiste, eccome, non fosse altro per lo schiacciante peso del nostro debito che continua ad aumentare mese dopo mese.
Manuel Barroso non se ne cura, ma Trichet se ne preoccupa molto. Secondo noi il primo ha torto e il secondo ha ragione.
La «macelleria sociale» contenuta abbondantemente nella manovra di Tremonti complica notevolmente la sua applicazione, lede alcuni diritti e penalizza ingiustamente il sociale. Questo è un grave aspetto negativo politicamente ma non tecnicamente.
Sono due gli aspetti tecnicamente negativi. Li abbiamo più volte segnalati e lo facciamo ancora. La manovra scarica il grosso degli investimenti di risanamento sugli esercizi 2013-14, limitando il peso dell’operazione nel biennio 2011-12 agli aspetti socialmente più odiosi ma finanziariamente poco rilevanti a cominciare dai ticket sanitari e dalle accise. Aggiungo: si tocca molto poco la spesa ma si opera soprattutto sul fisco con conseguenze negative sul potere d’acquisto delle fasce più deboli.
Il secondo aspetto tecnicamente negativo è l’assoluto silenzio sulla crescita economica. Non solo mancano i provvedimenti necessari, ma l’aumento della pressione fiscale gioca a comprimere consumi e investimenti. La manovra così come è stata concepita deprime la domanda e quindi peggiora il «numeratore» cioè il prodotto interno lordo. Se il Pil non aumenta in termini reali sarà  difficile difendere il debito, lo «spread» e le azioni delle banche italiane imbottite di titoli di Stato. Quale che sia la politica economica dell’Europa, quella italiana resterà  altamente vulnerabile.
Berlusconi e Tremonti sono ormai due entità  politicamente separate da un odio vero e duraturo ma sono legati l’uno all’altro indissolubilmente. Questo è lo stallo in cui il paese si trova. Strano a dirsi: chi se n’è reso conto ed ha denunciato pubblicamente questa circostanza ha un nome assolutamente imprevisto: si chiama Roberto Maroni, nuovo vero leader della Lega e ministro dell’Interno.

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In un’intervista di ieri a Francesco Verderami del «Corriere della Sera» il ministro dell’Interno leghista solleva un caso che del resto è sotto gli occhi di tutti.
Dice: «In Italia ci sono due presidenti del Consiglio. Uno è Berlusconi, l’altro è Tremonti. Ma il potere del superministro dell’Economia è di gran lunga maggiore di quello di Palazzo Chigi. Il superministro controlla la spesa con il Tesoro, l’entrata con le Finanze e la politica economica con il dipartimento del Bilancio. Ha a sua disposizione l’Agenzia delle Entrate, la Ragioneria dello Stato, la Guardia di Finanza, la Cassa depositi e prestiti, la Banca del Sud, il Fondo d’intervento sulle imprese strategiche, la Consob. Tiene in esclusiva i contatti con l’Unione europea. In realtà  Palazzo Chigi è ormai soltanto uno sportello che invia a destinazione alcune delle decisioni del superministro».
Questa è la diagnosi di Maroni, come si vede realistica e al tempo stesso impietosa verso uno dei punti di riferimento politico della Lega bossiana. Ma ancor più impietosa è la terapia del ministro dell’Interno: «Bisogna spacchettare il ministero dell’Economia e bisogna farlo presto. Tremonti deve restare ministro del Tesoro, chi meglio di lui? Ma poi ci dev’essere un ministro delle Finanze, un ministro del Bilancio, un ministro dello Sviluppo economico, che rispondono tutti e quattro a Palazzo Chigi il quale coordina tra loro le politiche dei ministeri economici».
Come mai Maroni vuole proprio adesso spacchettare Tremonti? Ne teme la concorrenza nella guerra di successione in corso nella Lega? Oppure è un modo efficace per dare una scossa ai fondamenti dell’alleanza Berlusconi-Bossi che ha in Tremonti il suo architrave, con l’obiettivo di far venire giù l’intero edificio dell’alleanza?
La mossa di Maroni è quanto di più imprevisto e andrà  seguita con la massima attenzione.

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