by Sergio Segio | 8 Luglio 2011 22:00
Piazza Tahrir torna a pulsare. Una prova di forza, composta, straordinaria, condotta dai protagonisti della «Rivoluzione dei Loto» che in diciotto giorni ha cambiato il volto dell’Egitto. I manifestanti sono una immensa multitudine, un milione secondo il quotidiano online Masry al Youm. Riuniti nel «Venerdì della purificazione». Un milione di persone, tantissimi i giovani, uniti nel chiedere processi rapidi e vere riforme. I dimostranti sventolano bandiere ed espongono uno striscione, su cui sono dipinte le parole «punizione per gli assassini dei martiri». Sui volantini distribuiti tra la folla si legge invece: «Vera pulizia, vero governo, veri processi».
PROVA DI FORZA
Convocata da tempo dai movimenti giovanili e dal quello del 6 aprile, la mega manifestazione di ieri è diventata imponente sull’onda emotiva di sentenze impopolari, come quella per il rilascio su cauzione di agenti accusati di avere sparato sui manifestanti a Suez a gennaio, e anche grazie alla decisione all’ultimo momento dei Fratelli musulmani di partecipare. «Rivoluzione fino alla vittoria», «Il popolo vuole la punizione immediata e il diritto dei martiri», hanno scandito i manifestanti sotto un sole cocente che ha provocato malori, curati dai volontari del piccolo ospedale da campo nella piazza. Sotto uno striscione con la scritta «Il popolo vuole le dimissioni del Consiglio militare, Mubarak se n’è andato e ci ha lasciato il maresciallò, riferendosi a Hussein Tantawi, il capo del Consiglio supremo militare, i manifestanti raccontano. Mohamed Ali e Sayed sono due ventenni. «Siamo venuti qui perché ne abbiamo abbastanza dei balbettamenti del governo. Il Consiglio militare immobilizza il governo, che a sua volta è troppo debole. Un nostro cugino è stato ferito in una manifestazione ed è paralizzato. È senza lavoro come noi e non succede niente. I dirigenti devono capire che questa è una rivoluzione. Non siamo ragazzi che fanno un festival».
PROTAGONISTE DELLA RIVOLTA
Molte sono le manifestanti in niqab, il velo islamico che lascia scoperti solo gli occhi. Dice Aimda, professoressa di scienze: «Sono in piazza perchè le famiglie dei martiri devono avere i loro diritti, i responsabili della morte dei loro figli devono essere imprigionati, non rimessi in libertà , e il ministero dell’Interno purificato». Un’altra donna porta un cartello con la foto del figlio, diciassettenne, scomparso dal settembre 2010.
«Suo padre è stato un detenuto politico per nove anni ed è stato liberato nel 2004 per la sua appartenenza alla Jamaa Islamyia», movimento iperintegralista illegale sotto Mubarak. C’è Sayafda, madre di uno dei «martiri», Mohamded Sahahr Abdel, 19 anni, ucciso il 28 gennaio, primo venerdì della collera, colpito da un proiettile della polizia. «Il ministero della Sanità ha detto che è morto di morte naturale. L’ospedale ha riconosciuto che è stato ucciso da un proiettile della polizia. Non voglio indennizzi. Voglio il giudizio degli assassini. È l’unica cosa che allevierà le mie sofferenze», racconta. Ieri non c’era traccia di polizia ed esercito sulla piazza. La sicurezza era affidata a giovani dei comitati popolari gestiti da un professore d’inglese, Abdel Halim. Tutto si è svolto pacificamente. Una grande prova di maturità .
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