Di chi è la colpa se torna Tangentopoli

by Sergio Segio | 24 Luglio 2011 7:02

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In tema di garanzie per la libertà  personale è ancora vivo, infatti, il ricordo della inarrestabile teoria di imputati che varcavano la soglia del carcere e lì rimanevano per il solo breve tempo della confessione, ancor più apprezzata se accompagnata da una chiamata di correo. In tema di responsabilità  politica, quegli stessi imputati patteggiavano rapidamente qualche anno di carcere e qualche assai parziale restituzione del bottino di denaro pubblico o parapubblico, per essere subito riciclati nel gruppo politico-affaristico di appartenenza, o addirittura in posti istituzionali apicali, per continuare a fare quello che avevano sempre fatto: trafficare illecitamente in cariche e prebende, depredare, corrompere.
Come se nulla fosse successo ce li ritroviamo di nuovo tra i piedi, così come se li ritrovano tra i piedi i magistrati che, non essendo le tre scimmiette del potere che non vedono, non sentono e non parlano, sono costretti ad agire in nome di quella uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.
Ci risiamo dunque, ma oggi c’è una gran parte di opinione pubblica più avvertita, intransigente, attenta alle regole dei codici ma anche a quelle che dovrebbero essere le regole della buona politica. Sarebbe veramente un gran salto di qualità  democratica se agli appelli puntuali del presidente Napolitano seguissero comportamenti conseguenti e coerenti.
Il bilancio tra correttezze, o scorrettezze, sembra però volgere tutto a scapito della classe politica imperante che, pur in una fase di crisi economica e devastante impoverimento del paese, tende a difendere se stessa oltre ogni limite di decenza.
Nelle inchieste giudiziarie in corso non mi sembra che ci siano intenti persecutori, né stravolgimenti di regole ma solo doverosi accertamenti di fatti penalmente rilevanti, né si possono mettere in equilibrio sui piatti della bilancia il protagonismo mediatico di qualche magistrato da un lato e, per esempio, la difesa di un Cosentino o addirittura la permanenza al governo di un Romano.
Il Pd ha le sue gatte da pelare e, certo, Tedesco e Penati sono innocenti fino a prova contraria come Papa, Milanese o lo stesso Romano, ma il problema è politico e non può essere rinviato alle calende greche del giudizio finale in Cassazione.
La sinistra di governo – nazionale o regionale – deve sin da ora dare un segnale forte, ripartendo magari dall’inizio delle singole storie, spiegando anche come e perché è stato candidato Tedesco al senato: troppo poco votare per il suo arresto o chiedergli di fare un passo indietro. Ne va della sua credibilità  come forza di alternativa al berlusconismo e della tenuta dello stesso sistema democratico.

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