Democratici in missione
ROMA.Diminuito il numero dei soldati impegnati all’estero, ridotti i finanziamenti per le missioni e ripristinato il fondo per la cooperazione internazionale tagliato da Tremonti. Per qualche giorno ha fatto preoccupare il governo, soprattutto a causa dei mal di pancia della Lega, ma alla fine il decreto che rifinanzia le missioni italiane all’estero è stato approvato ieri dal Senato con 269 voti favorevoli, 12 contrari (tutti i senatori dell’IdV) e un astenuto. Emma Bonino, Donatella Poretti e Marco Perduca, i tre senatori radicali, non hanno partecipato al voto.
Un esito scontato dopo che il Carroccio, con la sola eccezione di Roberto Castelli, aveva deciso di allinearsi al Pdl votando sì al provvedimento, e dopo che anche il dissenso manifestato nei giorni scorsi all’interno del Pd è rientrato in maniera indolore. Al termine di un’assemblea del gruppo tenuta in mattinata per chiarire le posizioni dei senatori contrari al provvedimento, tra i democratici ha infatti prevalso la disciplina di partito. Il decreto passa adesso alla Camera dove, nonostante il malumore già espresso dal presidente della commissione Esteri, il leghista Stefano Stefani, dovrebbe essere licenziato definitivamente e senza sorprese.
Il testo approvato ieri recepisce tutte le richieste avanzate dalla Lega al Pdl per non creare problemi. Il numero dei soldati diminuisce complessivamente di 2.028 unità , passando a partire da settembre dai 9.250 uomini del primo semestre a 7.222. Il tagli principali riguardano prima di tutto la Libia (-884) e a seguire il Libano (-700) e i Balcani (-271), I soldi stanziati passano invece dagli 811 milioni di euro del semestre scorso agli attuali 694, con un risparmio di 120 milioni di euro.
Fin qui i dati tecnici. Dal punto di vista politico è impossibile invece non registrare il ripensamento fatto dai senatori del Pd che si erano detti decisi a votare contro il decreto. Il passo indietro è maturato ieri mattina quando alcuni di loro, tra i quali Roberto Di Giovan Paolo, Roberto Della Seta, Paolo Nerozzi e Vincenzo Vita, hanno chiesto e ottenuto che il gruppo discutesse, prendendone atto, della loro posizione. «E’ stata la prima volta che si riconosce l’esistenza di un dibattito interno su questioni come le missioni all’estero, finora del dissenso non se ne dava nemmeno conto», spiega Di Giovan Paolo. «Marini ci ha detto di comprendere le nostre ragioni, ma ci ha anche chiesto di mantenere una linea unitaria visto che quello sul decreto è un voto politico e non di coscienza. In cambio il Pd preparerà una proposta alternativa sulle missioni, che tanto per cominciare introduca una distinzione tra quelle chieste dall’Onu, come il Libano, e le altre».
Determinante per il via libera all’assemblea è stato anche il numero dei senatori contrari al provvedimento. Ai «pacifisti» storici, infatti, si sono aggiunti tra gli altri anche Ignazio Marino, Felice Casson, Alberto Maritati, Gianrico Carofiglio. Una pattuglia forte in tutto di 14 nomi, compresi i tre radicali. «Alla base del nostro malessere – hanno spiegato – c’è la consapevolezza di avere un governo che non ha una politica estera degna di questo nome e per di più mentre Tremonti taglia selvaggiamente la spesa sociale e la cooperazione, le spese militari non vengono toccate». Come a dire: il Pd non può stare a guardare senza reagire, parole che suonano anche come una critica alla linea del partito in politica estera.
Alla fine ha prevalso il senso di disciplina, ma almeno stavolta il messaggio non sembra essere caduto nel vuoto. Nella conferenza stampa che tiene alla Camera, Pierluigi Bersani ci tiene a sottolineare la necessità di trovare un via d’uscita almeno dall’Afghanistan. Il segretario lo fa a modo suo, chiedendo un disimpegno che però «non dia un segale che l’Italia si sta disimpegnando», ma comunque lo fa. E riferendosi ai dissensi usciti sulle missioni spiega: «Siamo un partito che discute, ma poi trova un punto di sintesi».
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2028 SOLDATI in meno verranno impiegati nelle missioni all’estero. Ridotti anche i finanziamenti, che passano da 811 milioni di euro a 694, con un risparmio di 120 milioni di euro
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