by Sergio Segio | 25 Luglio 2011 9:11
NEW YORK — In una domenica di silenzio glaciale della Casa Bianca, tagliata fuori dall’ultimo sforzo negoziale, i leader democratici e repubblicani del Congresso hanno tentato per tutta la giornata di trovare un accordo sull’aumento del tetto del debito federale e il taglio del deficit pubblico prima dell’apertura dei mercati asiatici. Invano: in serata, col capo dei deputati repubblicani alla Camera, John Boehner, orientato a mandare avanti la sua delegazione parlamentare per la sua strada, i leader democratici Nancy Pelosi e Harry Reid sono andati da Obama con un’ultima proposta dello stesso Reid: manovra di contenimento delle spese da 2500 miliardi di dollari (in 10 anni) senza aumenti delle entrate fiscali e aumento del tetto del debito pubblico fino all’inizio del 2013. Ma, nonostante il timore di venire puniti dai mercati già stamani, alla ripresa delle contrattazioni, il braccio di ferro è continuato, coi repubblicani non disposti a concedere l’aumento del tetto fino all’inizio della prossimo mandato presidenziale.
La destra è rimasta sulla sua idea di una manovra in due tempi: prima uno sblocco del tetto sul debito, ma solo fino a Capodanno, poi un pacchetto di misure di contenimento della spesa (forse con una piccola componente di incremento delle entrate) da far procedere in Parlamento nei prossimi mesi. Un secondo aumento del tetto dell’indebitamento dovrebbe poi essere negoziato di nuovo all’inizio dell’anno prossimo, parallelamente al passaggio della manovra. Una soluzione che né Obama né i democratici sono disposti ad accettare, non volendo rivivere l’incubo di questi giorni tra sei mesi, quando saremo ormai in piena campagna elettorale e, quindi, in un clima politico ancor più arroventato.
L’idea dei due tempi non viene, invece, scartata dai democratici per le misure antideficit. Un piano elaborato al Senato dal leader repubblicano Mitch McConnell e da quello democratico Harry Reid prevede addirittura una novità senza precedenti, la creazione di quello che è stato definito un Supercongresso: una commissione di 12 parlamentari, sei per ogni partito, incaricata di scegliere e varare le misure di una maximanovra. Ma, anche se Boehner dice di non aver mai ritirato dal tavolo l’ultima proposta presentata a Obama che, oltre ai tagli di spesa, prevedeva 800 miliardi di maggiori entrate, è chiaro che col Supercongresso bisognerebbe ricominciare tutto daccapo. E le conclusioni dei 12 saggi sarebbero comunque sottoposte al voto del Parlamento di Washington, sia pure con una procedura semplificata. Ma adesso la battaglia è soprattutto su entità e durata dell’aumento del tetto del debito.
Per Obama un intervento limitato a pochi mesi sarebbe un suicidio: i mercati lo prenderebbero come il segnale che l’instabilità è destinata a continuare anche nei prossimi mesi. Ma Boehner— pressato dai radicali che non temono il default che, anzi, considerano politicamente vantaggioso— potrebbe avere le mani legate. Sarà il presidente, in questo caso, a cedere accontentandosi di una misura che gli dà solo qualche mese di respiro?
L’unica certezza, ieri sera, era che la Federal Reserve si sta preparando a fronteggiare una possibile emergenza finanziaria qualora la crisi di Washington dovesse scatenare una nuova tempesta monetaria. Ieri si è fatto sentire il ministro del Tesoro Tim Geithner che, oltre a giudicare impensabile un default americano, ha invitato tutti a comportarsi in modo responsabile anche perché la situazione economica sta peggiorando: i dati del Pil del secondo trimestre — ha anticipato — potrebbero segnare un ulteriore rallentamento.
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