Debito, incubo default per gli Usa Obama: “È l’ora del compromesso”

by Sergio Segio | 30 Luglio 2011 7:27

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NEW YORK  – «Il tempo a disposizione si sta esaurendo, la mia Amministrazione lavorerà  tutto il weekend con i democratici e i repubblicani per trovare una soluzione. Il momento del compromesso è arrivato». Barack Obama torna a parlare alla nazione e al Congresso venerdì mattina, per un estremo tentativo di scongiurare il “default” del debito pubblico americano. «Ci sono crisi che non si possono prevedere o evitare come terremoti, uragani, ma questa non lo è», ammonisce il presidente. Mentre il Congresso è spaccato – la Camera in mano ai repubblicani, il Senato a maggioranza democratica – e il Tesoro ha quasi esaurito i fondi a sua disposizione, Obama fa ricorso all’ottimismo della volontà : «Questa non è una situazione in cui i due partiti sono lontani miglia l’uno dall’altro, c’è accordo fra noi sulle grandi linee, sulle dimensioni dei tagli che devono essere fatti per iniziare a risanare il deficit». Poi però ricorda che quei tagli devono essere «equilibrati»: il termine in codice che il presidente ha usato più volte per respingere l’approccio unilaterale della destra, che vuole sacrificare solo le spese sociali e non accetta un centesimo di tasse in più sui ricchi. Questo venerdì si è aperto con un richiamo perfino più drammatico di quello di Obama. È un allarme che viene dall’economia reale: il Pil degli Stati Uniti è cresciuto solo dell’1,3% nel secondo trimestre. La decelerazione è impressionante rispetto all’anno scorso. È tanto più grave perché si accompagna a una revisione generalizzata di tutti i dati precedenti: il primo trimestre dell’anno la crescita è stata dello 0,4% e perfino la gravità  della recessione del 2007-2009 viene peggiorata dalle misurazioni più recenti. È un quadro sconfortante, che non lascia speranze per i 14 milioni di disoccupati ufficiali. Dati di questo tipo dovrebbero ridare energia alla sinistra: a tutti coloro che dal Congresso agli esperti sostengono che non è questo il momento per varare manovre “lacrime e sangue”, non è opportuno infliggere a un’economia esanime una terapia restrittiva. Ma sono voci che non hanno più spazio dentro l’agenda politica che al Congresso si è spostata sul terreno favorito della destra, il “quanto e quando” tagliare. Neppure le spaccature della destra rilanciano le chances di una politica economica alternativa. Di quelle spaccature c’è stata una dimostrazione plateale giovedì sera. John Boehner, il presidente della Camera e quindi leader della maggioranza repubblicana, è stato umiliato quando ha dovuto rinviare la votazione sul suo piano di tagli. Ben 25 deputati del suo partito gli avevano girato le spalle. Tutti fedelissimi del Tea Party, il movimento populista anti-tasse e anti-Stato, che criticavano Boehner da destra. Il presidente della Camera è stato costretto a ripresentare il suo piano ieri, dopo averlo modificato per renderlo più appetibile agli oltranzisti della destra: ma l’aggiunta più recente, di un emendamento costituzionale che imponga il pareggio di bilancio, rende quel testo ancora più indigesto per Obama. Il presidente ha promesso che userebbe il suo potere di veto ma non ce ne sarà  bisogno: al Senato la maggioranza democratica ha già  annunciato che boccerà  senza esitazioni il piano Boehner. Per sbloccare la situazione di stallo, le speranze si concentrano proprio sul Senato. Lì il capo dei democratici Harry Reid ha invitato a una trattativa il suo omologo repubblicano Mitch McConnell. Tra i repubblicani del Senato c’è qualche moderato che potrebbe farsi attirare da un’intesa bipartisan. Nel frattempo il Tesoro ieri ha dovuto convocare tutti i maggiori investitori istituzionali che operano sul mercato dei titoli di Stato, per una riunione dedicata ai preparativi di emergenza, illustrando le varie opzioni.

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