Debito americano L’uomo dei Tea Party fa infuriare Obama

by Sergio Segio | 15 Luglio 2011 6:29

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NEW YORK— Nervosismo alla Casa Bianca. L’accordo sul debito non si trova e Barack Obama si infuria con Eric Cantor, leader dei repubblicani nella Camera dei rappresentanti. «Eric non costringermi a mettere le carte sul tavolo perché io lo faccio davanti ai cittadini americani. Chiaro? Ci vediamo domani» .
 È tarda sera di mercoledì a Washington (notte fonda in Italia): fine del quarto giorno consecutivo di trattativa con un solo risultato sul tavolo da esaminare: le parole del presidente. «Don’t call my bluff» , siamo all’anticamera dell’insulto, un’espressione usata per mandarsi a quel paese. Civilmente, certo, ma in modo netto. Ieri sera il negoziato è ripartito, faticosamente, da qui. Ma questa volta il Presidente ha fissato una scadenza: o si trova una soluzione entro stasera, oppure si cercherà  un’altra strada.
Lo scatto del Presidente rivela comunque quanto sia alta la tensione. L’agenzia di rating Moody’s ha annunciato che è pronta a rivedere la tripla A sui bond del Tesoro, se non si arriverà  all’intesa entro il 2 agosto, la scadenza entro la quale va aumentato il tetto del debito fissato per legge (14,3 mila miliardi di dollari). Senza contare la pressione, ormai anche politico-diplomatica, del governo di Pechino il quale è titolare di una larga quota di bond Usa. Ieri mattina il segretario al Tesoro Timothy Geithner ha escluso che si possa sforare la «deadline» : non ci sarebbero più fondi per pagare gli assegni delle pensioni e gli interessi maturati sul debito.
 Il negoziato, però, è inchiodato sul veto posto dai repubblicani: si può discutere sui tagli alla spesa pubblica, ma nessuna disponibilità  a prendere in considerazioni aumenti di tasse, qualunque sia lo strumento usato (compresa dunque l’eliminazione di alcune agevolazioni fiscali). Dall’altra parte Obama vuole presentarsi al Paese con una «manovra bilanciata» che imponga «anche ai più ricchi la condivisione dei sacrifici» . È una contrapposizione tutta politica, uno scontro che finora ha impedito di entrare nel merito delle cifre. In realtà , più passano i giorni e più la delegazione repubblicana al tavolo della Casa Bianca si presenta divisa.
 All’inizio il gioco era nelle mani di John Boehner, presidente della Camera (dove il partito repubblicano è in maggioranza). Un esponente della vecchia scuola liberal-liberista, con idee classiche (magari un po’ prevedibili), ma corretto e ordinato. Tanto che Obama gli ha riconosciuto più volte di muoversi sempre «con spirito costruttivo» . Ma ai lati stanno emergendo quelli che all’inizio sembravano due semplici comparse. Il senatore Mitch McConnell (leader della minoranza al Senato, controllato dai democratici) spinge per sfilare il partito dalla trattativa, lasciando al Presidente l’intera responsabilità  di decidere che cosa tagliare e quali imposte aumentare.
Ancora ieri McConnell, interprete della destra conservatrice classica, si è fatto sentire. I repubblicani devono presentarsi davanti agli elettori con la coscienza a posto: è Obama che ha portato il Paese nelle condizioni di aumentare il debito, sarà  lui a risponderne davanti agli americani. Sull’altro versante si agita Eric Cantor, forte della sua posizione di capogruppo alla Camera e, soprattutto, dell’appoggio dei Tea Party, il movimento di ispirazione populista in forte crescita nelle retrovie del partito.
La linea di Cantor è ancora politicamente più perfida: aumentare di pochissimo il tetto del debito, in modo da costringere Obama a presentarsi ogni due-tre mesi in Parlamento da qui fino al 2012, anno delle presidenziali. Di fatto un modo di prendere in ostaggio l’intera politica dell’amministrazione. Così il capo della Casa Bianca, partito domenica scorsa con il piglio decisionista, si è trovato, giorno dopo giorno, ad affondare nelle sabbie mobili. E intanto Cantor, 48 anni, nato a Richmond in Virginia, origini ebraiche, anti abortista e contrario alla ricerca sulle cellule staminali ricavate da embrioni, vive il suo momento di notorietà .
L’altra sera, dopo la mezza rissa con il Presidente, ha improvvisato una conferenza stampa in cui ha tranquillamente ammesso che Obama non sopporta il suo ruolo sempre più cruciale nella trattativa. E poi ha ironicamente minimizzato sull’accaduto. «Dite che c’è stato uno scontro? Boh, a me ha detto che ci rivediamo oggi…» . Da seguire.

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