Dalai Lama. “Sono un pensionato ma continuerò a lottare per il Tibet”

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DHARAMSALA. Per parecchi giorni il Dalai lama è rimasto in stretto ritiro spirituale prima di incontrare 400 religiosi giunti dal Vietnam a ricevere i suoi insegnamenti buddhisti. Ora che a 76 anni ha formalmente delegato i poteri politici di leader della sua comunità  tibetana in esilio, la sua vita di pensionato è quasi interamente dedicata a educare studenti da tutto il mondo, oltre che a preparare la sua «prossima vita», come ci ha detto in questa esclusiva intervista rilasciata nella sua residenza di Dharamsala.
Santità , da marzo lei ha trasferito i suoi poteri temporali a una sorta di premier eletto dalla comunità  esule. Cosa cambia in termini pratici per lei e la sua gente?
«In realtà  il mio è più di un completo pensionamento. Una tradizione antica di secoli è completamente finita. Da ora in poi e per sempre, qualcuno eletto democraticamente prenderà  la piena responsabilità  delle decisioni che riguardano la nostra comunità . Anche i primi Dalai lama, fino al quarto, erano come sono io adesso puramente leader religiosi. Solo con il V (nel 1640, ndr) il Dalai lama è diventato un’istituzione politica fino a me, il XIV. Adesso che ho più libertà  e più tempo mi dedicherò a quelli che ritengo i miei impegni principali. Il primo la promozione dei valori umani, con il lavoro che porto avanti assieme a scienziati e umanisti, il secondo la promozione dell’armonia religiosa. A parte questo, diventando più vecchi dobbiamo pensare alla nostra morte e alla rinascita».
Il suo successore non ha però nemmeno un vero potere politico, oltre al suo carisma dentro e fuori dal Tibet.
«Io sono tibetano e molti tibetani hanno fiducia e credono in me, quindi non posso evitare questa responsabilità . Ma di fatto la mia non è più la responsabilità  di un leader politico».
Ancora oggi in Tibet la sua gente viene arrestata, torturata, perfino uccisa perché chiede libertà  e il ritorno del suo leader. Non è un compito politico quello di proteggerli?
«Ma nella mente dei tibetani il potere spirituale è più forte di quello politico. A causa della repressione comunista cinese, tutti i tibetani hanno cercato il mio sostegno spirituale per sopravvivere alle angherie. Lo stesso in Mongolia, nella Russia buddhista, anche in Cina e a Taiwan sono amato non per ragioni politiche, ma spirituali. E questa spiritualità  è stata la mia forza. Voglio arrivare a dire che se ci sarà  un 15esimo Dalai lama, spero che non avrà  nessuno dei miei problemi politici, perché la mia vita da leader temporale è stata davvero difficile e tragica, sono passato attraverso situazioni disperate. Se la gente ha avuto fede in me e la mia popolarità  è aumentata tra la mia gente come in tutto il mondo, questo è dovuto alla politica dei comunisti cinesi. Mi hanno reso popolare (ride). Anche molti cinesi sentono che il Dalai lama è un amico che si batte per i diritti umani, la libertà  religiosa».
Lei sta per recarsi nel giorno del suo 76esimo compleanno al cuore del sistema politico mondiale, Washington DC. Incontrerà  il presidente Obama per spiegargli la sua nuova posizione?
«Davvero non so. Il motivo del mio viaggio è, ancora, puramente spirituale. Allo stesso tempo, ho molti amici tra la gente del Congresso e i senatori Usa, cosi, se c’è la possibilità  di incontrare il presidente, ne sarò felice, perché lo conosco e lo rispetto. Altrimenti, nessun problema».
Se è già  difficile per lei essere ricevuto dai potenti, non lo sarà  ancora di più per un leader tibetano eletto ma sconosciuto?
«Si, penso di si. Ma, insisto, se qualche politico mi riceve, lo fa in quanto sono un leader spirituale e un Nobel. Una volta l’Arcivescovo Desmon Tutu, mio amico e fratello spirituale, mi ha detto che solo il Nobel della Pace gli ha aperto le porte dei potenti. Quindi il nostro attuale leader politico dovrà  principalmente occuparsi dei problemi della comunità  tibetana esule, qui e altrove, essere il loro referente, starli a sentire e sostenerli».
In qualche modo i cinesi sembrano riusciti nel loro intento di reprimere la tradizione buddhista.
«Chi ha i fucili controlla molto più facilmente a livello fisico, ma mentalmente, maggiore repressione provoca maggiore resistenza, è molto chiaro. Non solo in Tibet, ma anche nello Xingyang o in Mongolia, e non solo per motivi religiosi, ma anche di discriminazione etnica».
Lei ritiene che la sua politica della Via di mezzo, autonomia invece che indipendenza, riceva ancora il supporto dei tibetani dentro e fuori dal Tibet?
«Oh, sì, c’è molta unità . Certo, emotivamente tutti ti diranno che vogliono l’indipendenza, perché gli ultimi anni sono stati molto duri. Ma tutti capiscono la logica del nostro approccio».
Nella sua scelta di ritirarsi dalla politica ha pesato anche una certa stanchezza?
«Fisicamente non mi sento stanco. Ma ora divento vecchio e devo pensare alla prossima vita, devo concentrarmi sulle mie esperienze meditative passate per sviluppare ulteriori capacità  spirituali. Ho già  qualche comprensione della natura vuota dei fenomeni, del potere della compassione, dell’altruismo. Ciò che in parte mi manca, è la capacità  di concentrazione su un singolo punto di meditazione».
Serve a prepararsi alla reincarnazione? E nel caso, davvero rinascerebbe anche donna come ha speso detto scherzando?
«Non scherzavo affatto. Negli ultimi anni ho sviluppato la convinzione che le donne, biologicamente, sono più sensibili e forti degli uomini, come hanno dimostrato molti scienziati. Se ci pensa, il padre procrea e poi dimentica. La madre ha piena cura dei figli prima, durante e specialmente dopo il parto. Quindi è naturalmente portata a prendersi cura degli altri e in quest’epoca in cui serve così tanta compassione, le donne devono prendere un ruolo più attivo e noi uomini rilassarci di più. Per questo il prossimo Dalai lama può essere benissimo una donna».


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