Così si attua il referendum
L’impegno che si richiede per dare seguito al referendum si presenta, per lo sforzo che impone, pari a quello che ha permesso di raggiungere il successo ottenuto attraverso le urne. Si tratta infatti di dare concretezza, attraverso strumenti politici, normativi ed amministrativi, all’esito referendario. È necessario che le informazioni divengano patrimonio comune dei processi in atto, soprattutto in questo momento storico, che presenta differenze rispetto a quello pre-referendario. È altresì necessario che le numerose forze e le diverse anime e spinte ideali si canalizzino in direzione di un unico obiettivo e non si comprende come, in alcune regioni, questi obiettivi possano mutare e frammentarsi.
Occorre ripartire dalla sintesi dei testi referendari, condivisi e sostenuti. La gestione deve avvenire attraverso un ente pubblico estraneo alle logiche del profitto e del mercato. Le istituzioni competenti ad intervenire che si trovano in presenza di situazioni diverse, frutto di complesse stratificazioni, anche societarie e di esposizioni bancarie e finanziarie complesse, non possono comunque discostarsi dalla netta volontà referendaria. Occorre, infatti, garantire al cittadino il «quantitativo minimo vitale» quando le condizioni economiche delle famiglie non consentano il pagamento della bolletta.
La complessità istituzionale dei territori interessati – su cui ricadono normative europee, statali, regionali e degli enti locali, provvedimenti delle autorità giudiziarie europee, delle supreme corti e dei tribunali locali speciali e ordinari, l’azione di tutti gli enti competenti che regolamentano e adottano provvedimenti in materia, aprono tavoli e conferenze di servizi – non può costituire un limite all’attuazione della volontà referendaria. La soluzione va trovata sul piano politico, economico, finanziario e gestionale. Ciò premesso, se è necessario che il ragionamento verta sulle proposte teoriche e concrete (ad esempio il pagamento in base al reddito o le nuove modalità di gestione equa e solidale di ri-pubblicizzazione dell’acqua), è altrettanto necessaria la condivisione del metodo, che deve essere sempre partecipato, affinché avvenga un confronto sugli indirizzi politici e sulle proposte concrete. Dove partecipato non può che significare condivisione delle informazioni. Anche a costo di sopportare il rischio di facili strumentalizzazioni per le informazioni “non controllate” ma comunque utili rispetto alla formulazione della scelta finale che, non dimentichiamolo, andrà presa nelle sedi rappresentative competenti: le assemblee.
Quindi partecipazione, ma anche responsabilità , in considerazione della particolare fase che, se da una parte vede la presenza di chi intende ripubblicizzare, dall’altra vede quella di chi spera che tutto cambi affinché nulla cambi. Di chi spera quindi nell’errore e nel fallimento affinché si possa poi affermare che l’unica soluzione efficiente ed economica (noi preferiamo equa e solidale) possa essere data dal privato. Quindi su di tutti e in particolare su chi occupa posizioni istituzionali, ricade la responsabilità su quanto avverrà nei prossimi mesi e anni ma, soprattutto, la responsabilità etica e morale di dare attuazione ai due quesiti referendari senza se e senza ma. È necessario che non si perda quella spinta ideale che ci ha fatto correre nella piazze a festeggiare per la vittoria dei diritti delle generazioni presenti e future.
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NAPOLI
Beni comuni e partecipazione
Sono arrivati Stefano Rodotà e Ugo Mattei ieri a Palazzo San Giacomo per dare manforte all’assessore Alberto Lucarelli e presentere le delibere approvate dalla Giunta fino ad oggi. Ovvero quella relativa alla trasformazione dell’Arin Spa in soggetto di diritto pubblico in attuazione della volontà referendaria; quella che estende il diritto di partecipazione ai referendum consultivi da parte dei 16enni e la presenza all’interno delle sedute del Consiglio comunale di un cittadino extracomunitario; la delibera che introduce la categoria del «bene comune» tra le finalità e i valori fondamentali dello Statuto del Comune come indicato dalla Commissione Rodotà ; e l’ultima di attuazione del trattato di Lisbona che avvia la creazione di una rete che attiva la raccolta di un milione di firme in sette paesi Ue, per promuovere alla Commissione Ue lo Statuto europeo dei beni comuni.
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