by Sergio Segio | 14 Luglio 2011 6:19
Un rapporto-fantasma su Pompei, Ercolano e Torre Annunziata circola al ministero dei Beni Culturali. Esiste, ma è come se non ci fosse. Autori tre illustri studiosi, due francesi e un inglese. Promotori l’Unesco, l’organizzazione dell’Onu per l’educazione e il patrimonio culturale, in collaborazione con l’Icomos, altro organismo internazionale per la conservazione storico-artistica. Periodo dell’indagine: tre giorni a dicembre 2010, tre a gennaio 2011. Scopo: accertare lo stato degli scavi vesuviani dopo il crollo della Schola Armaturarum. L’esito è stato moderatamente positivo: i tre siti non finiranno nella lista dei luoghi a rischio, ma fra due anni subiranno un nuovo esame. Tutto bene, quindi? Non proprio.
Quel rapporto, cinquantuno pagine scritte in un inglese fluido, è, appunto, un fantasma. Qualche dirigente del ministero dice di non sapere neanche se è arrivato. Il motivo del riserbo, si sente ripetere, è uno: il documento contiene critiche agli interventi adottati negli ultimi tre anni e indica soluzioni diverse.
Il rapporto è stato consegnato alle autorità italiane, le quali possono rispondere e fare osservazioni. Ma di un lavoro di integrazione non c’è traccia. I tre relatori, Jean-Pierre Adam e Alix Barbet, archeologi con una ricca bibliografia pompeiana, e Christopher Young, una lunga esperienza di gestione presso il World Heritage Centre, rilevano come sia fondamentale per Pompei un lavoro capillare e programmato di manutenzione e restauro. Le strutture tecniche, aggiungono, vanno rinforzate e non svuotate come sta accadendo (709 unità nel 2004, 505 ora: depauperati il settore dei restauratori e le fasce intermedie, quelle che svolgono il monitoraggio). Parole sferzanti i tre relatori dedicano all’entertainment archaeology, l’ossessione per la valorizzazione del sito con mezzi virtuali, verso la quale sono stati dirottati molti fondi durante la gestione commissariale, che tanto stava a cuore all’ex ministro Sandro Bondi. Pompei, si legge nel documento, non ha bisogno di «theatrical presentation»: Pompei «naked in all its glory is enough» (Pompei, nuda nella sua gloria basta a se stessa). In sostanza l’Unesco chiede che si torni al piano avviato nel 1997, soprintendente Pier Giovanni Guzzo, messo da parte nel 2008.
Il rapporto, poi, segnala il caso dell’Herculaneum Conservation Project – l’organismo finanziato dal magnate americano David Packard, che da dieci anni opera a Ercolano, dove ha speso 16 milioni – come esemplare di una buona relazione fra pubblico e privato. Peccato, però, che la collaborazione fra la Soprintendenza, la direttrice degli scavi, Maria Paola Guidobaldi, e gli studiosi guidati dall’archeologo Andrew Wallace-Hadrill e dall’architetta Jane Thompson, entrambi inglesi, non goda di molte attenzioni al ministero. Anzi, sia trascurata fino a irritare i vertici dell’Herculaneum Conservation Project, mettendo a rischio la loro permanenza a Ercolano.
Un brutto colpo per i Beni culturali. Che arriva mentre per Pompei si vara un piano di 105 milioni di cui si sa ancora poco. Sono previste sofisticate indagini geologiche (8 milioni) che il preside della facoltà di Architettura di Napoli 2, Carmine Gambardella, sostiene di aver già compiuto e aggiunge di poterle offrire gratis. Il piano di interventi sul campo, invece, è stato stilato dalla Soprintendenza e delinea operazioni di manutenzione e il restauro di 39 domus. Ma le assunzioni di nuovo personale sono incerte (si parla di una trentina di persone, ma non sono chiari i profili professionali). A Pompei si ipotizza anche che un gruppo di imprenditori francesi finanzi progetti di restauro (le trattative sono ancora in corso). Mentre fuori delle mura c’è il rischio di una cementificazione alla quale sarebbero interessati imprenditori napoletani: un piccolo comma prevede interventi in deroga alle norme urbanistiche. E, quasi lo presagissero, gli esperti Unesco raccomandano di mantenere integre le visuali dentro e fuori gli scavi (su questo c’è un allarmato intervento di Italia Nostra).
La situazione non è gravissima, dicono gli estensori del rapporto, che suggeriscono quindici raccomandazioni. Fra queste, insistere con il lavoro che l’Herculaneum Conservation Project sta realizzando a Ercolano ed estenderlo altrove.
Packard scansa i riflettori e non vuole ritorni d’immagine. Non è uno sponsor classico come Diego Della Valle al Colosseo. In compenso mette a disposizione uomini, competenze e soldi per fare manutenzione e restauri. Il lavoro è svolto fianco a fianco con gli archeologi e gli architetti del posto. Con loro, insiste Wallace-Hadrill, si sperimenta un metodo di gestione del sito che, una volta concluso il progetto, le strutture pubbliche possano poi proseguire. Ma con quali mezzi e con quali risorse, se entrambe scarseggiano? Wallace-Hadrill cita preoccupato la decisione di stornare da Pompei il 25 per cento dei suoi fondi per dirottarli altrove.
Ercolano trae grandi benefici dalla cura Packard. Ma in questi giorni è stato ingaggiato un braccio di ferro con i vertici del ministero. Motivo: il finanziamento con poche decine di migliaia di euro, di Fasti Online, l’archivio elettronico degli scavi compiuti in tutto il mondo sostenuto da Packard e dal ministero. Che ora potrebbe non metterci più un soldo, irritando ulteriormente Packard.
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