Cirio, condannati Cragnotti e Geronzi

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ROMA – Nove anni per Sergio Cragnotti e quattro per Cesare Geronzi, ex presidente di Banca di Roma. Si è chiuso così, a tarda sera e dopo 12 ore di camera di consiglio, il processo di primo grado per il crac Cirio, iniziato tre anni fa.
Oltre ai due imputati «eccellenti» per cui la pubblica accusa aveva chiesto rispettivamente 15 anni e 8 di reclusione, la I sezione del Tribunale penale di Roma ha ritenuto colpevoli anche il genero del patron della Cirio, Filippo Fucile (4 anni e 6 mesi), i figli Andrea (4 anni), Massimo (3 anni) ed Elisabetta (3 anni), e poi i membri del cda del colosso agroalimentare Ettore Quadrani (3 anni e mezzo), Francesco Scornajenchi (3 anni), Gianluca Marini (3 anni), Annunziato Scordo (3 anni).
Condannati anche gli ex funzionari della Banca di Roma Pietro Locati (3 anni e 6 mesi), Antonio Nottola (3 anni e 6 mesi) e Michele Casella (3 anni).
Pene ridimensionate per tutti, rispetto alle richieste della pubblica accusa, e assolti del tutto, invece, Giampiero Fiorani, ex ad della Banca Popolare di Lodi, e la moglie di Cragnotti, Flora Pizzichemi. Per loro i pubblici ministeri avevano chiesto sei anni di reclusione, ma per i giudici non hanno commesso il fatto. Così come, non ha commesso il fatto, quello di bancarotta preferenziale, Cesare Geronzi, per la quale è stato scagionato.
La sentenza però non prevede solo il carcere (le cui porte non si apriranno per nessuno prima del terzo grado): Unicredit e tutti gli imputati condannati dovranno poi versare all’amministrazione straordinaria di Cirio, a titolo di provvisionale, duecento milioni di euro. La banca e gli stessi condannati in solido dovranno risarcire anche le spese legali sostenute dalle migliaia di parti civili costituite in questo processo.
«Resto tranquillo perché continuo a ritenere di avere agito correttamente, nell’ambito delle responsabilità  statutarie, esercitando il compito proprio, naturale del banchiere, senza commettere alcun illecito. Diversamente, in casi della specie, la funzione di ogni banchiere resterebbe paralizzata», ha dichiarato Cesare Geronzi, commentando la sentenza. Geronzi ha ribadito la «piena fiducia nella magistratura», «confidando che in sede di appello l’ulteriore, ponderata riflessione consentirà  di fare piena chiarezza e di riconoscere l’assoluta non colpevolezza del mio comportamento». Più realista e forse più delusa, il suo avvocato, Paola Severino: «Non posso nascondere la delusione per il mio assistito, innanzitutto, ma anche per il sistema bancario nel suo complesso perché questa sentenza mette in crisi il rischio di impresa che assume anche un rilievo penale: i finanziamenti alle imprese in difficoltà  fanno parte dell’attività  quotidiana di ogni istituto di credito. E in ogni caso credo sia grave riferirlo al vertice di una struttura, al suo presidente, che ha poca parte in causa se non una mera presa di coscienza. Non nego che in questa pronuncia ci sia anche un aspetto positivo che è rappresentato dal ridimensionamento della pena rispetto a quanto richiesto dai pm della procura». E l’altro legale di Geronzi, Ennio Amodio, ha sottolineato che «è una sentenza in cui prevale il contenuto economico rispetto a quello giuridico».
(m. e. v.)


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