by Sergio Segio | 23 Luglio 2011 7:58
Tempi duri, per chi dissente. O promettenti, se riesce a farsi capire dalla propria gente e fa crescere intorno a sé consapevolezza e consenso. Senza giri di parole, parliamo di quanto sta accadendo nella Cgil, il più grande sindacato italiano, pezzo chiave del radicamento sociale di quel che si usa chiamare ecumenicamente «sinistra». L’accordo del 28 giugno, siglato con Confindustria insieme a Cisl e Uil, sta scavando distanze serie tra aree congressuali che già un anno fa – Rimini – avevano mostrato idee abbastanza diverse di cosa voglia dire fare sindacato oggi.
Ora, nel bel mezzo dei primi effetti di una manovra finanziaria che secondo molti economisti (si veda Halevi, nei giorni scorsi su questo giornale) produrrà «impoverimento delle famiglie» e «ulteriore riduzione del Pil», sembra che si stia cercando di «rimuovere la contraddizione». Da La Cgil che vogliamo – area di minoranza coordinata da Gianni Rinaldini, ex segretario della Fiom – arrivano segnalazioni preoccupate: «Siamo all’inverosimile di una consultazione in corso nella quale non vengono presentate le diverse posizioni espresse nel Direttivo della Cgil Nazionale, ma solo quelle di maggioranza; e, adesso, viene perfino negata la stessa possibilità di esercitare pubblicamente il dissenso utilizzando risorse che sono di tutta l’organizzazione, maggioranza e minoranza» (ovvero stampare e distribuire volantini e comunicati). «Il gruppo dirigente della Cgil e la segretaria generale si stanno assumendo per intero la grave responsabilità di negare la democrazia nella vita interna dell’organizzazione con una consultazione che si svolge senza alcuna regola e forma di controllo concordata, dove tutto viene deciso e gestito da una parte, seppure maggioritaria».
Situazione opposta all’interno della Fiom, dove la minoranza fedele alla linea confederale ha organizzato ieri, nella sede centrale di Corso Italia, un’assemblea nazionale dei delegati «favorevoli all’accordo». Il coordinatore dell’area, Fausto Durante, ha criticato le recenti (e vincenti) iniziative della sua categoria, perché «la via giudiziaria non sostituisce l’azione sindacale, ossia la contrattazione». Si è quindi detto «pronto a sostenere la creazione di Comitati per il sì» all’interno dei luoghi di lavoro per «contrastare la campagna vergognosa di travisamento e denigrazione rispetto a vari contenuti dell’accordo». Toni non proprio concilianti, insomma.
La segretaria generale Cgil Susanna Camusso, intervenendo a questa assemblea, ha cercato per un verso di smentire che sia in preparazione una «purga» d’altri tempi all’interno dei metalmeccanici: «Chi cerca o invoca sanzioni disciplinari o espulsioni sbaglia strada; per noi gli iscritti alla Fiom sono iscritti alla Cgil». Ma, al tempo stesso, «c’è la Cgil e ci sono le sue articolazioni organizzative, cioè le categorie. Ci può essere un dissenso strutturale? È questo il nodo da sciogliere». Per ricordare infine che «per noi varrà solo il voto degli iscritti e non fa bene a nessuno contrapporre il voto dei lavoratori a quello degli iscritti».
Un modo per far prevalere ragioni e vincoli «d’organizzazione» rispetto a quelli «di classe», si sarebbe detto in tempi non lontani. E la risposta del segretario generale Fiom, Maurizio Landini, a Genova per il decennale del 2001, dove i meccanici furono parte importante, non si è fatta attendere. Intanto un invito: «Mi attendo che il segretario generale Cgil sarà presente all’assemblea nazionale dei delegati del 22 e 23 settembre, dove si discuterà sia della consultazione che sulla piattaforma per il rinnovo del contratto; troverei del resto singolare che partecipi solo a quelle di area».
Ma sui contenuti dell’accordo, Landini mantiene tutte le critiche: «Si apre a che i contratti aziendali possano modificare quelli nazionali, che in azienda si possano decidere a maggioranza “tregue sindacali” che impediscono ad altre sigle l’esercizio del diritto costituzionale di sciopero, non si affronta il problema di come evitare accordi separati quando c’è dissenso tra i sindacati perché non si prevede in modo certo di ricorrere al voto dei lavoratori». Per questo, promette Landini, «in coerenza con il nostro statuto, faremo votare sull’accordo tutti i lavoratori che lo chiedono, iscritti o no alla Fiom; e certificheremo tutto, sia come avranno votato gli iscritti, sia tutti gli altri». Perché la partita, va ricordato, è come si difende il lavoro in tempi di crisi, non come si elimina il dissenso.
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