Cambio di passo per gettare le colpe sui repubblicani

by Sergio Segio | 27 Luglio 2011 7:38

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Il tempo stringe, rischiamo davvero il baratro. Ma per molti esponenti della destra “compromesso”è diventata una parola sporca. Fategli cambiare idea» .
Arrabbiato col capo dei repubblicani, John Boehner, che ha rinunciato all’improvviso al «grande accordo» da 4 mila miliardi di dollari a lungo negoziato alla Casa Bianca, messo ai margini di una trattativa ora condotta in Congresso, consapevole che la destra radicale dei «Tea Party» vuole ottenere il default del presidente e che per avanzare su questa strada è disposta a rischiare anche un default del credito Usa, Barack Obama ha cambiato linea. Basta discorsi bipartisan e appelli accorati: il presidente ora cerca di mettere alle strette il partito repubblicano ripetendo con toni sempre più netti e ad audience sempre più vaste che l’America rischia una crisi senza precedenti— a partire dalla perdita, per la prima volta nella storia, della «tripla A» , il voto massimo di affidabilità  del suo credito — solo per l’ostinazione di un fronte conservatore che rifiuta di prendere in considerazione un pacchetto che, ammette la Casa Bianca, è stato confezionato da esperti democratici ma è degno di Ronald Reagan. Il discorso alla nazione di lunedì sera col quale Obama ha accusato i repubblicani di condurre un gioco irresponsabile e di farsi ricattare da una minoranza oltranzista è stato un intervento più politico che istituzionale, con toni da campagna elettorale, e i commentatori americani sono stati lesti a sottolinearlo, sia pure con accenti diversi.
 Così, se per il conservatore Wall Street Journal quello di Obama è stato «un messaggio degno più di un comizio di raccolta fondi del partito democratico che della solennità  dello Studio Ovale» , il New York Times sostiene che il presidente ha fatto bene a mettere davanti alle sue responsabilità  un partito repubblicano che sta andando al naufragio per il suo rifiuto anche dell’ultima proposta avanzata dal leader dei democratici al Senato, Harry Reid. Un piano «che concede loro tutto quello che avevano chiesto quando hanno costruito artificialmente questa crisi opponendosi a un aumento senza condizioni del tetto dell’indebitamento: 2.700 miliardi di dollari di spese in meno senza alcun incremento delle entrate» .
Un piano che il quotidiano liberal giudica pessimo ma che, a questo punto, è il minore dei mali. Proprio sulle entrate fiscali il discorso di Obama contiene un’incongruenza che conferma il suo «cambio di passo» : il presidente insiste sulla necessità  che chi più ha avuto dia il suo contributo alla manovra correttiva e attacca i repubblicani per il loro veto ad un aumento del prelievo fiscale, ma poi appoggia la proposta Reid che a quell’aumento ha già  rinunciato. Insomma, visto che la destra si serve del debito pubblico per cercare di sbatterlo fuori dalla Casa Bianca, Obama usa questa stessa, pericolosissima, impasse non solo per richiamare i moderati alle loro responsabilità , ma anche per cercare di rafforzare la sua presa sull’elettorato centrista.
Un gioco pericoloso, ma che politicamente potrebbe pagare: da un lato Obama lascia uno spiraglio aperto alla trattativa, non solo appoggiando una proposta Reid che non è radicalmente diversa da quella Boehner (tanto che Ezra Klein, sul Washington Post, scommette sul compromesso in extremis), ma anche non reiterando (almeno in tv) la minaccia di porre il veto presidenziale in caso di eventuale approvazione del piano repubblicano (minaccia che è però è riaffiorata ieri). Dall’altro accusa i conservatori di oltranzismo per i loro reiterati no a proposte già  molto moderate.
Così facendo si scopre a sinistra — e infatti i sondaggi segnalano una crescente irritazione dei liberal nei confronti del presidente — ma Obama scommette che, al dunque, l’anno prossimo questa parte dell’elettorato democratico metterà  da parte i suoi mal di pancia e andrà  a votarlo. I sondaggi recenti indicano che l’elettorato centrista ha apprezzato la sua moderazione nella gestione di questa complessa crisi: il 51%degli americani considera i repubblicani i maggiori responsabili di un eventuale downgrading degli Usa mentre, a oggi, solo il 30%afferma che ne darebbe la colpa a Obama.
L’appello tv agli elettori (contattate i vostri rappresentanti, dite loro che volete un accordo) non è rimasto inascoltato: ieri telefonate e email hanno mandato in tilt centralini e siti web del Congresso. Dalla vittoria alle elezioni di mid term, lo scorso novembre, i repubblicani sono sempre stati all’offensiva. Ora per la prima volta Obama vede la possibilità  di recuperare qualche margine di manovra. Anche perché un altro portabandiera della destra «rigorista» — il deputato Paul Ryan, autore del primo piano di risanamento proposto dai repubblicani— è stato costretto a un lungo silenzio dalla rivolta degli elettori del suo collegio, spaventati dalle sue proposte di parziale smantellamento della sanità  pubblica per gli anziani.
Anche per questo oggi Obama rischia di più con l’appello diretto agli elettori. Ma se la crisi si avvita ulteriormente e se la disoccupazione torna a crescere, sarà  difficile per il presidente far cadere le responsabilità  su qualcun altro.

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