Assenteismo agostano e treni lenti Così va a fondo un grande porto

Loading

«Ohé, ragazzi: meno assenteismo. E più corresponsabilità » . Gliel’ha detto anche don Ciotti, agli operai di Gioia Tauro, che non possono pretendere aiuti senza una svolta. La drammatica crisi dello scalo calabrese, però, dipende solo in parte dai furbi: è tutta la nostra portualità  che arranca. Sono anni che ci viene ripetuto che l’Italia, in un mondo in cui viaggia in nave il 95%delle merci internazionali, è la «piattaforma portuale d’Europa» . Eppure stiamo finendo ai margini.
Dopo la crisi che ha fatto perdere ai colossi del traffico mondiale 25 miliardi di dollari, il mese scorso la danese Maersk ha ordinato alla Daewoo entro tre anni 20 (venti!) portacontainer da 18.000 Teu (Twenty-Foot Equivalent: container da 20 piedi, lunghi sei metri). Bestioni immensi che pescano 14 o 15 metri e a pieno carico non potranno mai attraccare a Genova o negli altri porti italiani che non hanno fondali sufficientemente profondi. E così le altre 143 mega-navi già  in costruzione o ordinate dagli altri giganti del trasporto planetario. Uniche eccezioni, Cagliari (da dove però non partono treni per l’Europa…), Trieste (dove i collegamenti ferroviari e le altre infrastrutture sono stati così trascurati da causare l’umiliante sorpasso complessivo di Capodistria) e appunto Gioia Tauro. Che ha la fortuna di avere fondali ottimi. Ma l’handicap di essere tagliata fuori da un serio servizio di treni (parte da Gioia un solo «merci» la settimana, diretto a Bari, che porta un container ogni 1.495 movimentati) e di essere collegato al resto del mondo dalla Salerno-Reggio Calabria, che il rapporto Sos Impresa di Confesercenti ha definito «il corpo di reato più lungo d’Italia» .
Un handicap pesantissimo. Spiega una relazione del 2008 del Ministero dei Trasporti che il grosso del guadagno non è nel «transhipment» , cioè nello spostare i container dalle navi enormi a quelle più piccole, ma nel trattamento finale. Quando il container è «sdoganato, stoccato, manipolato e distribuito, adeguatamente supportato da una rete infrastrutturale efficiente. Il fatturato passa da 300 a 2.300 euro, l’utile da 20 passa a 200, il beneficio dello Stato da 110 euro a 1.000 e ogni mille unità  movimentate invece di generare 5 unità  lavorative ne generano 42» . Bene: Gioia Tauro, l’unica ad avere gru dal braccio così lungo da scavalcare 18 file di container ma oscenamente sprovvista di quella «rete infrastrutturale efficiente» , faceva quel lavoro lì: il «transhipment» . E anzi, nonostante fosse nata per sbaglio in funzione del V ° centro siderurgico mai sorto, riuscì grazie alla posizione favorevolissima a diventare addirittura il primo porto del Mediterraneo, il 23 ° del mondo e a rappresentare il 50%del Pil privato (quello pubblico è un altro discorso) calabrese. Certo, tanti problemi. Come ricorda sul «futurista. it» Eduardo Meligrana, il successo fu pagato caro: «Mille miliardi di lire di investimenti, settecento ettari di agrumeti pregiati distrutti assieme ai duecento ettari di uliveti, sessanta milioni di metri cubi di terra estratti, un intero paese, Eranova, raso al suolo» . Con l’insopportabile peso di «un convitato di pietra: la ‘ndrangheta che ha accompagnato e scandito la costruzione e la gestione del più grande appalto realizzato in Italia, bloccando sul nascere ogni virtuosa dinamica economica e sociale del territorio della Piana e dell’intera regione» . Al punto che nel 1995, Andrea Costa, amministratore delegato della Contship Italia, affermava: «Gioia Tauro è una polveriera. E questo, quando abbiamo deciso di investire lì, lo sapevano benissimo. È impressionante ammetterlo, ma chi lavora da queste parti rischia la pelle» .
La relazione della commissione Antimafia del luglio 2000 parlerà  di trattative «per conto della Contship con il doppio Stato: la democrazia delle istituzioni nazionali e locali da una parte, e, dall’altra parte con il crimine organizzato di ‘ndrangheta e mafia, con i Piromalli ed i Pepè, con le potenti arcinote famiglie di sempre» . Una presenza mai venuta meno. Al punto di spingere Cecilia Battistello, la «Lady Shipping» che guida Contship, il colosso che gestisce il porto a sfogarsi: «La situazione è così assurda che, assurdo per assurdo, dico che sarei pronta anche ad accordarmi con la ‘ndrangheta per far crescere la produttività » . Una battuta provocatoria. Indicativa dell’esasperazione per difficoltà  che secondo la Mct (di Contship) concessionaria dal 1994 della movimentazione dei container da nave a nave, sarebbero insormontabili. Alto costo del lavoro: «Se un operaio qui costa 100, in Marocco costa 14 e a Port Said addirittura 9» .
Bassa produttività , denunciata anche dal fondatore della Msc Gianluigi Aponte, che a gennaio lasciò la Calabria per il Pireo: 22-23 container movimentati l’ora contro una media mondiale, dice uno studio della World Bank, superiore a 25 per non parlare del confronto con scali assimilabili a Gioia e suoi diretti concorrenti come l’egiziano Port Said: 34.
Dati che i sindacati respingono sdegnosamente. Come contestano i numeri dell’assenteismo. Secondo cui il porto della Piana ha una quota di furbetti quasi doppia (14,20%) rispetto a scali simili come Taranto e Cagliari (8,05%) o agli altri porti quali Genova, La Spezia, Livorno: 8,35. Dati che si impennano ulteriormente tra gli operai di piazzale, che muovono gru e carrelli: 17,6%. Con picchi sconcertanti a Natale quando manca un operaio su cinque e ad agosto, quando «danno buca» (spesso all’ultimo istante, senza dare modo di coprire le falle) più di un operaio su quattro. «Un porto deve essere in condizione di lavorare 365 giorni l’anno» , disse Aponte al Sole24ore spiegando l’addio, «questo, a Gioia Tauro, non avviene» . Il giornale aziendale della Mct sparò mesi fa uno slogan: «L’assenteista danneggia anche te. Digli di smettere» .
Parole sagge. In qualche modo ripetute, sia pure su un fronte radicalmente diverso, da Don Luigi Ciotti che qualche giorno fa ha sì confortato gli operai in ansia per il lavoro accusando la politica e tutte le sue promesse mancate. Ma ha aggiunto anche quella frase citata: «Ohé, ragazzi: meno assenteismo» . Non solo per dovere verso l’azienda e la collettività  ma verso tutti i compagni di lavoro ingiustamente coinvolti nel calderone delle accuse: su 881 operai Mct quasi il 70%si mette in malattia mediamente per il 2,9%. Una percentuale decisamente buona, guastata da quel 30%che marca visita per il 17,1%. Soprattutto, come abbiamo visto, a cavallo delle feste. Fatto sta che entro luglio ha deciso di andarsene pure la Maersk, che da sola copriva un quarto del traffico. Una botta tremenda. Seguita giorni fa dall’annuncio della Mct: 467 «esuberi» .
 L’appuntamento a Roma, per tentare un salvataggio, è oggi. Il quadro, però, non solo per colpa di quella minoranza di lavativi, è sempre più complicato. Alle ultime elezioni, la parola «porti» non era nominata nel programma della sinistra e men che meno in quello della destra. Sapete in 17 anni quante notizie Ansa hanno nel titolo Berlusconi che parla dei porti? Zero. Il risultato, a mettere insieme infrastrutture scadenti, vuoto di investimenti, costo del lavoro, grane sindacali, assenteismo, disinteresse della politica, è nei numeri. Gioia, che era prodigiosamente entrata tra i grandi porti mondiali, è caduta al 39 ° posto. Nel 2005 era 751.160 container davanti a Valencia, adesso è 1.355.676 sotto ed è stata superata nella classifica mediterranea anche da Port Said che nel 2004 stava, nella hit parade mondiale, 59 posti indietro.
Gli altri investono, noi no. E con quello calabrese ha perso peso tutto il comparto. Basti dire che nel 2010 Gioia Tauro, Genova, La Spezia, Livorno, Taranto, Napoli, Cagliari, Venezia, Trieste, Salerno hanno movimentato insieme 9.171.486 teu cioè un terzo (scarso) di Shanghai o di Singapore. Tutti insieme i primi 10 porti italiani si collocherebbero al tredicesimo posto nel mondo dopo lo scalo taiwanese di Kaohsiung. Con due milioni di container in meno del solo porto olandese di Rotterdam. E intanto la politica parla d’altro…


Related Articles

Anche i sindacati protestano: «Lega e 5S vessano i pensionati, in piazza contro l’ipocrisia»

Loading

Legge di bilancio. Il caso del blocco della rivalutazione delle pensioni: Spi Cgil, Fnp Cisl, Uilp Uil: sottratti 2,5 miliardi

Landini: «Non ci fermeremo»

Loading

Per Camusso la soluzione sull’articolo 18 è «un risultato». Ma Landini risponde: «Gli scioperi li abbiamo fatti noi, siamo liberi di dire no» Fiom, il segretario generale lancia un appello in difesa del lavoro e dei diritti

Varou­fa­kis: «Ora l’unica strada è gestire bene il Grexit»

Loading

L’intervista. L’ex ministro delle finanze greco rilascia al settimanale britannico “New Statesman” la prima intervista dopo le sue dimissioni. E non risparmia dettagli e retroscena su nulla di quanto accaduto negli ultimi cinque mesi

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment