Ambasciatori «in visita» ad Hama Francia e Usa scendono in piazza

by Sergio Segio | 9 Luglio 2011 6:41

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 C’era anche l’ambasciatore francese in Siria, Eric Chevallier, ieri nella città  di Hama, roccaforte dell’islamismo sunnita, protagonista di una nuova giornata di proteste contro il presidente siriano Bashar Assad. «Il nostro ambasciatore è a Hama per testimoniare l’impegno della Francia al fianco delle vittime» della repressione, ha fatto sapere il ministero degli esteri di Parigi. Da parte sua il dipartimento di stato Usa giovedì aveva comunicato che l’ambasciatore Robert Ford si era recato sempre a Hama per «stabilire il contatto» con l’opposizione. «Noi vogliamo sapere – ha detto una fonte americana – chi sono queste persone, a quale genere di processo politico e di futuro per il loro Paese aspirano. Noi dobbiamo prendere contatto con loro e ciò è quello che Ford fa». In Egitto, Tunisia e Bahrein i diplomatici di Usa e Francia si sono tenuti a distanza dalle piazze delle rivolte, mentre fanno sentire il loro pieno appoggio alle proteste in Siria. Un atteggiamento che desta dubbi. Non sorprendono perciò le proteste di Damasco che ha accusato Washington di essere «implicata» nei disordini che scuotono il paese dallo scorso marzo. «La presenza dell’ambasciatore americano a Hama senza autorizzazione preliminare – ha reagito il ministero degli esteri siriano – è una chiara prova del coinvolgimento degli Stati uniti negli avvenimenti in corso, e del loro tentativo di incitare a far salire la tensione, il che nuoce alla sicurezza e alla stabilità  in Siria».

Il sospetto di una cospirazione ai danni della Siria – accusa pronunciata in più occasioni da Bashar Assad – ha appesantito ulteriormente il clima di una giornata segnata da nuovi scontri tra manifestanti e forze di sicurezza nei quali sarebbero morte, secondo il Comitato di coordinamento locale, almeno 15 persone (16 per la Bbc). Sei manifestanti sono stati uccisi nella sola capitale Damasco. Vittime si registrano anche a Dumayr, Baniyas e Homs. Le riforme annunciate da Assad non placano la protesta perché lo scontro sorto sull’onda della «primavera araba» in nome di diritti e libertà , si è trasformato in una lotta settaria, tra la maggioranza sunnita e il regime composto in maggioranza da alawiti (sciiti). Non sorprende che i siriani cristiani abbiano più di una esitazione nell’unirsi alle proteste. La Siria rischia di trasformarsi in un nuovo Iraq. «A essere onesti, tutti sono preoccupati – ha ammesso Yohana Ibrahim, arcivescovo della Chiesa ortodossa siriaca di Aleppo – Non vogliamo che in Siria accada quel che è successo in Iraq. Non vogliamo che il paese venga diviso. E non vogliamo che i cristiani lascino la Siria».
Per gli israeliani, spettatori interessati delle vicende interne siriane, Assad può resistere al potere ancora un anno o due. Il quotidiano Maariv, basandosi su una recente deposizione resa davanti alla Knesset dal capo dell’ intelligence militare Aviv Cochavi, ha scritto che la rivolta ha interessato 20-30 città  siriane, mentre Damasco ed Aleppo sono rimaste relativamente tranquille. Le vittime civili sono stimate in 1.600 a cui occorre aggiungere, secondo Maariv, altri 600 militari uccisi da bande armate, talvolta legate alla malavita. Le riforme offerte da Assad sono importanti ma dispendiose. E in questi mesi, ha aggiunto il giornale, il regime è già  stato costretto ad usare un terzo delle riserve in valuta estera limitate attualmente a 12-14 miliardi di dollari. le proteste di bashar Il governo
di Damasco ha condannato la visita come un «indebita ingerenza negli affari interni del paese
e un tentativo di far alzare la tensione»

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