Yemen, assalto alla presidenza ferito Saleh: il Paese nel caos

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SANA’A – Ali Abdullah Saleh, il contestato leader yemenita, è rimasto leggermente ferito alla testa ieri in un attacco a colpi di mortaio del palazzo presidenziale da parte dell’opposizione. A darne notizia è stato il suo portavoce. L’attacco ha spinto il paese ancor più sull’orlo di una guerra civile dopo mesi di forti agitazioni politiche. Il portavoce Abdel al-Jandi ha detto che Saleh era in una moschea interna al palazzo, scosso dalle esplosioni mentre stavano per iniziare le preghiere del venerdì.
Secondo l’ufficio stampa, almeno sei alti funzionari sono rimasti feriti, tra i quali il vice premier e il presidente del parlamento. Fra le vittime di quello che è stato definito «l’attacco a tradimento di una banda di fuorilegge», ci sarebbero tre guardie del corpo e l’imam della moschea: in tutto sette persone sono rimaste uccise, ha dichiarato più tardi in un messaggio audio alla tv yemenita lo stesso Saleh. Il presidente ha puntato il dito contro «nemici tribali» che «non hanno rispettato la tregua». L’attacco era stato sferrato in coincidenza con un grande raduno dei sostenitori di Saleh e ha scatenato violenti scontri nella zona sud della capitale Sana’a, risparmiata nelle prime due settimane di combattimenti tra le forze governative e i guerriglieri delle tribù d’opposizione.
Non è chiaro quale figura o quali figure dell’opposizione siano dietro a questo attacco a colpi di mortaio al palazzo presidenziale. Il governo ha ordinato un bombardamento sulla residenza di Hamid al-Ahmar, uno dei più importanti antagonisti tribali di Saleh e leader dell’opposizione. Un portavoce del fratello di Ahmar, Sadiq, ha negato che dietro l’attacco ci fossero uomini suoi o della sua famiglia, accusando il governo di aver inscenato tutto, per poter legittimare le ulteriori violenze contro i gruppi tribali. Questi ultimi, fedeli alla famiglia Ahmar, stanno combattendo le truppe governative nelle strade di Sanaa da oltre dieci giorni.
Saleh è al potere nello Yemen da 33 anni e per tutto questo tempo ha abilmente negoziato la difficile politica tribale del paese. Ma le proteste di piazza in Egitto e Tunisia che hanno rovesciato i tiranni da lungo tempo al potere in quei paesi hanno sconvolto l’ordine politico nazionale e da allora Saleh deve quotidianamente scontrarsi con sempre più energici richiami a lasciare il potere. I tentativi di destituirlo erano iniziati già  a febbraio, con proteste pacifiche, ma avevano portato a una feroce repressione da parte del governo che aveva provocato la morte di oltre cento persone in tutto il paese. Alla fine del mese scorso, dopo che per la terza volta Saleh si era rimangiato la promessa di lasciare l’incarico, i guerriglieri tribali fedeli ad Ahmar hanno iniziato a scontrarsi con i soldati del governo.
(© New York Times – traduzione di Anna Bissanti )


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