Verso una società a 2000 W
LOSANNA (SVIZZERA). L’edificio è imponente e non più distante di un chilometro e mezzo dal centro della città di Losanna. Ma di camion che vanno e vengono con i loro carichi di rifiuti, nemmeno l’ombra. Niente puzze né fumi. Imperturbato il via vai continuo di gente che a due passi si serve della metropolitana supertecnologica senza conducente. Eppure nel termovalorizzatore Tridel, che fornisce elettricità e calore a oltre un terzo della città svizzera certificata dall’Unione europea come tra le più «sostenibili» del vecchio continente, vengono bruciati gli scarti residui della differenziata di 145 comuni del cantone Vaud, 170 mila tonnellate di rifiuti l’anno.
In funzione dal 2006, è il più avanzato dei 29 inceneritori svizzeri, niente a che vedere con i nostri, nemmeno col premiato termovalorizzatore di Brescia. Perché qui, a differenza che in Italia, a controllare l’impatto ambientale setacciando il territorio circostante in cerca di eventuali tracce di fumi tossici, diossina, o metalli pesanti è un organismo esterno, un soggetto terzo rispetto alla proprietà (azionariato di comuni) e alla gestione, sempre pubblica. E infatti i valori delle emissioni sono ben al di sotto dei limiti imposti dalla legislazione nazionale e europea. Almeno per ora. Con quattro chilometri di galleria scavati appositamente sotto la città , il trasporto di rifiuti viaggia nella quasi totalità su rotaia. Un sistema di 40 chilometri di tubature interne raccoglie i fumi prodotti dai forni e li trasforma in liquidi purificati, in un 20% di ceneri non tossiche, e in un 2% di metalli pesanti trasformati in cristalli solidi da stoccare o utilizzare come agglomerati sotto il manto stradale. Il costo totale dell’opera (357 milioni di franchi svizzeri, circa 240 milioni di euro), che gli utenti pagano in bolletta, sarà ammortizzato in 25 anni ma l’impianto ha una vita media prevista di 60-70 anni. E genera una potenza termica di 369 GWatt, «come una piccola centrale nucleare», spiegano gli ingegneri che ci fanno da guida.
Ma è una soluzione che piace proprio a tutti? «Certamente preferiamo questo tipo di soluzione alle discariche a cielo aperto, che in Svizzera sono ormai solo un ricordo del passato, – rispondono gli attivisti di Pro Natura, una delle tante associazioni ambientaliste che nel paese scudocrociato costituiscono una parte sociale più potente del sindacato – ma l’accento posto sull’efficienza tecnologica può indurre i cittadini a credere che la raccolta differenziata (ferma a Losanna al 45%, ndr) sia un optional, mentre noi crediamo che si debba ridurre a monte il materiale di scarto, come gli imballaggi, e si debba puntare di più sul riciclo». Non si può non notare, però, che a conti fatti una tonnellata di rifiuti accumulata, per esempio, nella discarica di Malagrotta, costa alla municipalità di Roma circa 80 euro, mentre i comuni che scaricano nel Tridel di Losanna pagano circa il doppio ma ne ottengono energia a costi dimezzati e un ambiente più pulito.
«La sostenibilità di una città va inquadrata in una visione olistica, non solo energetica», spiega George Ohana, il delegato per lo sviluppo strategico di Losanna, la cui municipalità che si è fatta imprenditrice decidendo di investire sulla produzione e la distribuzione di energia «pulita». Ed è sempre più chiaro che a nord delle Alpi qualità della vita vuol dire soprattutto rispetto e cura del paesaggio. «La nostra politica è finalizzata a quella che viene chiamata una “società a 2000 Watt” pro capite, cioè una società che riduce a un terzo i consumi energetici mantenendo lo stesso tenore di vita ma abbassando le emissioni da 6 a 1 tonnellata di CO2 pro capite. Come? Riducendo semplicemente gli sprechi». Ohana parla del «patto dei sindaci», primo passo per porre le basi a una politica energetica globale sostenibile, cui hanno aderito 1165 comuni italiani e solo 12 svizzeri (tra i 2666 firmatari complessivi). Un punto a nostro favore, sembrerebbe, se non fosse che solo 9 città italiane sono state certificate dall’Ue, dopo approfondite analisi sulla qualità , come realmente «sostenibili», insieme alle 12 svizzere che hanno sottoscritto il patto. Un accordo per il quale le municipalità aderenti hanno potuto accedere ad appositi fondi europei, ed è un dettaglio che spiega molto ma non ci fa onore.
Futuro no nuke. La confederazione elvetica, invece, abbandonando il nucleare, punta davvero sull’efficienza energetica, sul trasporto pubblico ad emissioni zero e sulla mobilità dolce, sul ciclo ecocompatibile dello smaltimento dei rifiuti, e sulle energie rinnovabili, con un occhio particolare alle biomasse e alla geotermia. Tanto da aver creato una società di investimento ad hoc per la produzione da fonti alternative. In discussione è anche una riforma del sistema fiscale in modo da incentivare la riconversione ecologica di case e trasporti. Ma poiché, come dicono i ticinesi, «non si può fare una frittata senza rompere un uovo», nella Vallé du Joux, in pieno parco protetto, si è imposta, avendo contro molte associazioni ambientaliste, la costruzione di un grande parco eolico. «Dopo lunghi studi abbiamo capito che quello era il luogo ideale per il miglior compromesso tra massimo rendimento energetico e minor impatto ambientale». Allo stesso modo non si lesina in costruzione di impianti idroelettrici, «dighe ma anche bacini artificiali intermedi per evitare il turbinio a valle, riducendo il rischio di incidenti, e per facilitare il ripompaggio a monte, che è l’unico modo per accumulare l’energia acquistata a basso costo di notte», spiega Bruno Oberle, direttore dell’Ufficio federale dell’ambiente.
Oro blu. «L’acqua va rispettata in ogni suo aspetto – aggiunge Oberle – dobbiamo gestirne la qualità , l’utilizzo e i pericoli legati ai fattori geologici». Ed è un concetto acquisito in tempi relativamente recenti perché solo da quando, nel 1870, la confederazione ha introdotto il “diritto forestale», i bacini idrici, i laghi e i fiumi sono tornati puliti. E l’acqua potabile e buona in ogni rubinetto. «L’anno prossimo – annuncia Oberle – finiremo una cartografia dei pericoli naturali per avere piena consapevolezza di tutto il territorio svizzero, parcella per parcella. Abbiamo investito molto sulle infrastrutture per l’acqua e per i rifiuti, ma è un costo che i cittadini pagano volentieri». Attenzione però, perché, come fa notare Stefano Vescovi, consigliere economico dell’ambasciata svizzera in Italia, «nulla di tutto ciò si potrebbe fare se l’acqua e la sua gestione non fossero pubbliche».
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