by Editore | 25 Giugno 2011 8:21
ROMA – Erano tutti consapevoli di trovarsi a un passaggio importante, i 500 e oltre intermittenti dello spettacolo e della cultura che ieri hanno riempito la platea e il primo ordine dei palchi del teatro Valle occupato da undici giorni. Il passaggio è quello che sarà segnato tra qualche giorno dalla nuova finanziaria triennale che colpirà , con i suoi tagli che certamente il ministro dell’Economia Tremonti definirà «minori spese», lo stato sociale, l’università e la scuola e ancora una volta i teatri, i musei, il cinema.
Quattro miliardi e mezzo di «risparmi» su scuola e università e resta tutt’ora imprecisato il totale di quelli che colpiranno, ad esempio, il teatro, dopo che il governo ha abolito l’Eti, tagliato il Fus e lasciato il patrimonio dei nostri teatri in balia degli enti locali, già del resto strozzati dal taglio ai bilanci. Vogliono reagire all’umiliazione a cui è sottoposto chi lavora con la ricerca, o con l’espressione e allontanarsi dal ricatto di chi dice che se non accettano nuovi sacrifici, sarà loro la responsabilità del default italiano, dopo quello greco. All’inizio tutti gli interventi dei ricercatori universitari e di quelli precari (rete 29 aprile e Cpu), degli informatici e delle traduttrici di Acta, degli scrittori e degli editori trenta-quarantenni della «generazione Tq», insieme agli studenti e precari (Unicommon e Link-Uds, e il comitato «il nostro tempo è adesso»), o ai sindacati (Flc Cgil), senza contare i cineasti di «secondo tempo», si sono ritrovati su un punto: nell’occupazione del teatro Valle c’è il principio di una lotta per la dignità .
Non si è risparmiato in perifrasi lo scrittore Christian Raimo, che insieme all’attrice Ilenia Caleo, ha introdotto l’incontro. Attacca la violenza xenofoba del governo che ha alzato a 18 mesi la permanenza nei Cie dei migranti provenienti dal Nordafrica. Una presa di posizione che accompagna l’impegno a mettere in parole quella sensazione di comunanza che si respira da giorni in teatro, senza che ancora nessuno sia riuscito a dargli forma: «I lavoratori della conoscenza – ha detto Raimo – qui hanno iniziato a fare politica e non si considerano solo artisti, scrittori, informatici o ricercatori». Su che cosa farne di questa comunanza le idee sembrano abbastanza chiare: «Ci troviamo al centro della macchina del consenso che ha fatto le fortune del berlusconismo – ha aggiunto Ilenia Caleo – dovremmo imparare dagli sceneggiatori hollywoodiani che hanno saputo individuare i luoghi della produzione del consenso e li hanno bloccati per mesi». A questo punto la posta è diventata chiara a tutti: quella in gioco non è semplicemente la sopravvivenza dei «professionisti» di un settore culturale specifico, ma la possibilità della riproduzione della società , a partire dalla scuola e dall’università .
Prima con timidezza, ma poi con crescente convinzione, sono arrivate le parole che negli ultimi tre anni abbiamo ascoltato in luoghi ben diversi dal Valle: conflitto, organizzazione, reddito e welfare. Abituati da vent’anni di berlusconismo a subire e parlare a vuoto, pensando forse di cavaserla con l’opportunismo individuale, questo mondo si ritrova senza referenti politici, non si fida dei sindacati che non hanno ancora trovato un modo per farli uscire da un’invisibilità . Ma quale forma dare a questa estrema eterogeneità che spesso, paradosso dei paradossi per chi lavora con la conoscenza o l’arte, non sa dialogare né spiegarsi? «Pensiamoci come una coalizione», ha detto Fabio Massi di Acta, supportato da Francesco Raparelli di Unicommon e da molti altri. Chiamatela «alleanza», «piattaforma» o «un movimento unito indipendente dai condizionamenti della politica esistente» come dicono i precari della scuola del presidio a Montecitorio. «Facciamo però in modo che questo autunno che tutti vogliamo caldo non si deve spegnere tra le prime nevi di dicembre», ha sostenuto Claudio Franchi della Flc Cgil in un intervento che ha tirato giù il teatro.
Gli intermittenti si sono dati appuntamento tra una settimana al Valle, con una necessaria sospensione del giudizio, «perché siamo posti a una temporalità che non controlliamo». L’obiettivo è chiarito: costruire un welfare per il lavoro indipendente, salvaguardarne la qualità e i diritti alla copertura sanitaria, previdenza, alla giusta redistribuzione delle risorse pubbliche. Condizioni per garantire l’autonomia intellettuale e la vita di tutti.
Sarà anche stata «una batteria di fuochi umani che ha gridato il suo messaggio prima della sua dispersione», ma il grido era chiaro e forte. E sono in molti ad averlo ascoltato.
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