Usa, la Camera dice “no” all’intervento in Libia

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Il destino di Muhammar Gheddafi sarà  pure segnato, ma in attesa di quel momento fra gli alleati della Nato accade di tutto. Ieri è andato in onda un sottocapitolo dei contrasti intestini che sin dall’inizio accompagnano la guerra al colonnello: il presidente francese Nicolas Sarkozy ha risposto sprezzante alle critiche del segretario alla Difesa uscente Bob Gates, che aveva accusato l’Europa di fare tropo poco in termini di spesa e di coinvolgimento nelle missioni militari Nato. 
«Parole dettate dall’amarezza di un uomo che sta andando in pensione», ha detto il francese al termine del summit dei capi della Ue a Bruxelles: «Si può dire tutto ciò che si vuole, ma non penso proprio che in Libia il lavoro essenziale lo stiano facendo gli americani, sono commenti fuori luogo e ingiusti, che non corrispondono a nessuna realtà ». Sarkozy ha bacchettato anche il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, accusandolo di aver sostenuto la posizione di Gates. 
La verità  però è che Gates faceva un discorso più generale, non dedicato soltanto alla missione Libia sulla quale sin dall’inizio gli Usa hanno annunciato chiaramente che avrebbero soltanto appoggiato un’operazione europea che era stata avviata quasi in solitario proprio da Sarkozy. E a confermare la contrarietà  americana alla missione in Libia, ieri è arrivato il “no” della Camera dei rappresentanti Usa alla mozione che autorizzava un ruolo, pur limitato, degli Stati Uniti a sostegno dei raid Nato. È un voto non vincolante, raggiunto grazie alla maggioranza dei repubblicani, e a cui si sono uniti molti democratici, in polemica con Obama. Anche se, poi, successivamente la Camera non ha tagliato i fondi per la guerra a Gheddafi. Immediato, è arrivato il commento della Casa Bianca. «Siamo delusi dal “no” – ha detto il portavoce Joe Carney – perché pensiamo che non sia il momento di inviare un messaggio confuso come questo». 
Tra alleati è polemica. Francia e Gran Bretagna avevano criticato duramente la proposta del ministro degli Esteri italiano Franco Frattini, che aveva ipotizzato una tregua umanitaria. Dopo le pressioni anglo-francesi, ieri Silvio Berlusconi è stato costretto a esibire la faccia più anti-gheddafiana che abbia mai mostrato.
I leader della Ue hanno firmato un comunicato finale in cui appoggiano pienamente la guerra fatta in nome della risoluzione 1973 dell’Onu: il presidente Ue Herman van Rompuy ha detto che l’Europa manterrà  «la pressione militare sulla Libia fino a che ci sarà  Gheddafi». Il massimo che Berlusconi riesca a dire è che il libico è sempre più solo: «Siamo tutti convinti che ogni giorno Gheddafi sia sempre più solo perché, ma la guerra finirà  quando si ribellerà  la popolazione di Tripoli. La speranza – ha aggiunto – è che a un certo punto si possa arrivare a una mediazione». Parole super-caute, mentre ancora il segretario della Nato alza i toni dicendo che «ormai per Gheddafi è finita». A proposito delle indiscrezioni del Wall Street Journal secondo cui il colonnello vorrebbe lasciare Tripoli a causa dei continui bombardamenti, Rasmussen ha detto di non avere «alcuna informazione su Gheddafi e su dove si trovi: siamo lì per proteggere popolazione civile, continueremo con la nostra operazione fino al raggiungimento degli obiettivi».
Anche dal fronte dei ribelli c’è un solo segnale, che però non è chiaro come interpretare: un portavoce, Mahmoud Shammam, ha detto in una intervista al Figaro che «una volta rimosso dal potere Gheddafi potrebbe anche andarsene a stare in un’oasi libica, sotto controllo internazionale». Shammam insiste nell’escludere che Gheddafi o membri del suo clan possano partecipare in futuro al governo della Libia, ma questa della sua presenza sul territorio che ha comandato fino ad oggi è una novità  assoluta, a patto che sia condivisa dai capi politici del Cnt. 


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