Una maggioranza cauta teme lo spettro di una «seconda sberla»
La sfida ufficiale è per raggiungere il «quorum» , cioè il numero delle persone delle quali (dal latino «quorum» , appunto) è necessaria la presenza perché il referendum sia valido. Ma all’ombra della metà più uno dei votanti si giocano molte altre sfide. Riguardano certamente il futuro dell’energia nucleare, la gestione pubblica e privata dell’acqua, e il «legittimo impedimento» per capo del governo e ministri sotto processo. Soprattutto, però, si tratta di capire se, nonostante i precedenti, la stanchezza nei confronti dell’alleanza berlusconiana sia così forte da spingere milioni di persone a votare; se dopo le amministrative e i ballottaggi disastrosi per il centrodestra, arriverà una «seconda sberla» in grado di far vacillare ancora di più il governo. È questa consapevolezza a suggerire alle opposizioni di non caricare troppo di significato politico il referendum. Per paradosso, è la stessa che fa dire alla maggioranza: comunque finisca, non si avranno contraccolpi sulla coalizione. Il timore di palazzo Chigi è che nel Paese stia montando un’onda antigovernativa, rilevata dal voto di maggio e annidata nei quesiti referendari. Per questo Berlusconi ha insistito nel definirli «inutili» ; e ha rivendicato il diritto di astenersi, non trattandosi di elezioni: il suo obiettivo è di far saltare il quorum e dunque di smentire la prospettiva della «doppia sconfitta» . La speranza simmetrica dei suoi avversari è che proprio l’atteggiamento del premier abbia irritato una porzione crescente di opinione pubblica, anche legata al centrodestra, inducendola al voto: quell’ «effetto Craxi» che il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, ieri ha citato esplicitamente, ricordando che all’allora leader socialista l’appello all’astensionismo nel 1991, quando si doveva cambiare la legge elettorale, «ha portato male» . Se alla fine dovesse emergere un risultato ambiguo, c’è il rischio di dover fronteggiare un lungo referendum. Ufficialmente si chiuderà lunedì. Ma l’Idv di Antonio Di Pietro vuole escludere dal conto del quorum i quasi 3 milioni e 300 mila elettori italiani all’estero. Ritiene che pochi di loro abbiano potuto votare a causa delle anomalia della legge e ai ritardi. Se, a sorpresa, i referendum passeranno, si dovranno valutare a fondo le loro conseguenze politiche. Ma se prevarrà l’astensionismo, magari di poco, una coda di contenziosi giuridici e polemiche sarebbe inevitabile. Perché il voto sui quattro quesiti sia valido occorre che vadano alle urne 25 milioni 209 mila 346 persone: la metà più uno degli oltre 50 milioni che ne hanno diritto, di cui 47 in Italia, gli altri all’estero. La novità è che negli ultimi giorni l’opposizione ritiene che la spinta a andare alle urne sia cresciuta. L’insistenza di Bersani e Di Pietro perché la gente si presenti ai seggi la domenica mattina presto risponde ad un calcolo: offrire percentuali di partecipazione che possano trasmettere l’idea di acciuffare il «quorum» . La «soglia della speranza» è indicata in un 40 per cento di affluenza nel pomeriggio di domenica. Di Pietro arriva a affermare: «Vorrei chiudere la partita domenica sera» . Sembra altamente improbabile. Ma il fatto stesso che non si escluda, nel governo e all’opposizione, conferma che sono venute meno molte certezze e posizioni di rendita.
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